Capitolo otto

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Camila poggiò giacca e zaino sul divano che monopolizzava il centro del salotto. Era da quella forma moderna e definita che si ramificavano gli altri suppletivi, rigorosamente abbinati fra loro. I colori che risaltavano di più erano grigio e bianco, ma anche il legno faceva la sua parte, ammodernando il locale.

Non era certo l'appartamento macabro è inaffidabile che si era prefigurata Camila. Aveva un po' di pregiudizi sul portamento di Lauren che inconfutabilmente infondeva una certa inquietudine, ma al di fuori dell'ambito scolastico figurava come una seducente donna venticinquenne nubile con un gusto apprezzabile per il mobilio.

«Vuole qualcosa da bere, un bicchiere di vino magari?» Chiese Lauren, ma fu una domanda retorica perché le stava già versando un calice.

«Ah no, veramente... Non posso.» Rifiutò cordialmente Camila, atteggiando il volto in un'espressione dispiaciuta.

Lauren planò con lo sguardo verso l'altro lato della stanza dove la cubana si stava martoriando le dita a forza di giocarci assieme.

«Ma certo.» Un sorriso quasi beffardo le nacque sulle labbra «Dimenticavo la sua prematura età.» Disse la corvina, continuando a mescere il vino nella coppa.

Camila osservò i suoi gesti, raffinati, eleganti, fluidi. Posò la bottiglia sul ripiano della cucina, lo aggirò e avanzò verso Camila sorseggiando lo Chardonnay.

Camila avvertiva un formicolio alle gambe che la induceva a indietreggiare, ma invece restava immobile; l'ultima cosa che desiderava era mostrarsi impaurita di una donna che, in realtà, le stava solo tendendo una mano.

Lauren arrestò il passo a poco più di un metro da lei, ingollò un altro sorso e dedicò un'occhiata sfacciata alla ragazza, esaminandola da testa a piedi.

Era una gran magagna, ma era carina. Questo poteva concederglielo.

«Allora, iniziamo?» Domandò la donna, esortando Camila ad equipaggiare il suo arsenale.

«Oh.. si, giusto.. Si.» La cubana era reticente a girarsi, perché "non dare mai le spalle" era la prima regola in qualsiasi situazione, ma non aveva scelta.

Si voltò per qualche istante per adunare quaderno, astuccio e libro. Le sue mani tremolavano e più di una volta la zip sgusciò dalle sue mani sudate o si inceppò nella cerniera sfrangiata.

In quell'esiguo lasso temporale, Lauren si prese la libertà di ammirarla senza scrupoli o vincoli. I suoi occhi corsero lungo i fianchi appetibili della cubana, per poi soffermarsi sulle esili spalle e concludere in gran bellezza il giro di prova sul fondoschiena prosperoso dalla ragazza. Era la prima volta che si concedeva quella leggerezza. Anche al diavolo non dispiacciono i piaceri dalla carne. Ma no, lei non era un target discutibile. L'unico motivo per cui doveva piantare gli occhi su di lei era per ucciderla.

Comunque, improvvisamente, avvertì il bisogno di rimpolpare il bicchiere di vino.

«Di là.» Le illustrò Lauren quando la cubana la guardò negli occhi, in attesa di istruzioni.

Camila si sedette al tavolo rotondo e trasparente che colmava un angolo della sala. Era posizionato proprio di fronte alle enormi vetrate che davano sul terrazzo, spiovendo verso la città.

Lauren si sedette di fronte a lei. Camila nemmeno ne accorse, tanto era assorta a saggiare il panorama mozzafiato. Se prima era il grattacielo a stringere la mano al tessuto terso che risplendeva quel giorno, ora era lei che si stendeva sulla città. Era una sensazione inebriante, di poetico potere.

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