Capitolo 38.

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Sono passati un paio di giorni da quando sono tornata a roma, o almeno mi sembra sia così, ma non ne sono assolutamente certa. È come se avessi abbandonato il mio corpo, come se qualcun altro vivesse la mia vita e io fossi chiusa dentro il mio corpicino fragile, cercando di stare il più ferma possibile per non rompermi.

Sono quasi sempre in ospedale e quando non sono lì sono nello squallido motel poco distante, dove posso avere una camera a due spiccioli a notte.

Uno schifo, ma non mi lamento.

Parlo regolarmente con mia madre che cerca di convincermi a tornare a santa barbara visto che gio rimane nelle stesse identiche condizioni.

Ogni tanto parlo anche con le ragazze che sono molto preoccupate per me e si stanno facendo passare le informazioni da Dylan.

Non ho parlato con Jamie, sto ignorando tutti i suoi messaggi e le sue chiamate.

Il sapore del caffè mi è famigliare, mi mancava il caffè italiano preso in un bar. Sono le 8 del mattino, l'orario delle visite inizia fra un'ora, ma sono già fuori dall'ospedale, con il mio bicchierino ormai vuoto fra le mani e le cuffie nelle orecchie.

Oggi andrò a casa dopo essere stata in ospedale. I miei nonni hanno saputo che sono in italia e non mi permettono di stare in albergo, perciò a meno che non voglia scatenare una guerra mi toccherà andare a casa, il che è una scocciatura visto che è lontanissima dall'ospedale.

-

<sei sicura che non vuoi che ti accompagni?> ludovica mi stringe una mano, ha un cappellino bordeaux in testa e la pelle è chiarissima, le labbra rosse dal freddo.

Scuoto la testa, poi la abbraccio e mi incammino fuori dal parcheggio dell'ospedale.

Tornerò a casa in treno.

Sono già le 17.30 quando arrivo alla stazione del mio paesino, quasi non mi ricordo più niente di quel posto. Cammino verso la pizzeria accanto alla stazione, mangiavo sempre lì quando tornavo a casa da scuola con il treno.

Ho preso un po' di pizza da portare via e del gelato, poi mi sono incamminata a casa a piedi, con All The Small Things dei Blink 182 nelle orecchie.

Apro la porta di casa con le mie chiavi, a cui è ancora attaccato un portachiavi che ho vinto ad una gara quando avevo 7 anni.

<nonnaaaa, sono a casaaa> mi affaccio nella cucina

Mia nonna mi viene incontro con un sorriso a 32 denti sulle labbra

<ciao tesoro, ci sei mancata così tanto!> mi abbraccia stretta, è così piccolina, pensare che da piccola mi sembrava una donna altissima. Ora raggiunge a malapena il metro e 50.

<sono tutti di là, ci sono anche i tuoi cugini>

I miei tre cugini maschi sono tutti più grandi di me, hanno 30, 26 e 22 anni. Si chiamano rispettivamente Simon, Richard e william. Sono per metà inglesi, mia zia Beverly è di Manchester.

L'unico che vive a roma è simon, è anche sposato. Richard invece vive a torino e william a parma per l'università.

È un evento rarissimo che siano tutti insieme.

<sai, è anche arrivato un ragazzo che dice di essere amico tuo, ma parla inglese e io non ci capisco niente. I tuoi cugini ci hanno parlato ma non hanno detto niente sull'argomento, dimmi tu!>

Cosa? Ma si sono ammattiti?

Entro nella cucina e vedo i miei tre cugini seduti a mangiare la torta di mele della nonna. Mi sorridono e si alzano quando mi vedono. Ci metto qualche secondo per notare il ragazzo appoggiato al caminetto nella cucina di mia nonna.

Capelli biondi, una carnagione chiara su cui risalta l'azzurro degli occhi. Una felpa nera le cui maniche sono state tirate su fino al gomito, jeans neri e un paio di scarponcini ai piedi.

<tu cosa diavolo ci fai qui?>



A little change. || Jamie Campbell BowerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora