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-ti ho visto sotto alle gradinate del campo- il cuore mi andò in gola, divenni rigida -stavi piangendo, stavi male- disse, il suo tono era freddo ed era completamente cambiato dal ragazzo con cui avevo parlato qualche minuto prima.

Le mie gambe iniziarono a tremare, lui mi aveva vista mentre piangevo, aveva sentito tutto quello che mi ero detta, tutto il disprezzo, mi vergognavo. Pensai che fosse come tutti gli altri, era li per prendermi in giro, come tutti gli altri, per ridicolizzarmi, farmi sentir male,per informarmi  che mi aveva visto in un momento così disperato ed intimo cosi da poterlo dire a chiunque.

Mi misi la mano sul volto, sentì un vuoto allo stomaco, tutta quella sensazione, tutti quei pensieri mi avevano fatto venire la nausea, dovevo sbottare, o vomitavo o li sputavo il mio disprezzo addosso.

Non potevo ridicolizzarmi con una vomitata improvvisa così lo interruppi mentre mi spiegava che era li perché aveva dimenticato il cellulare

-sei come gli altri, cosa vuoi fare? prendermi in giro? andarlo a dire ad alyssa? probabilmente lo hai già fatto. magari era tutto organizzato e c'è qualcuno che ci sta filmando- dissi voltandomi  a destra e sinistra per vedere se c'era qualcuno, stavo delirando, stavo esplodendo dalla rabbia e dalla vergogna.

Mi alzai di colpo
-non è così,ho una richiesta da farti- disse

-un ricatto?- tutto in me era vividamente negativo ormai

-no assolutalmente- disse lui

Non riuscivo più a stare li, sapevo che lui mi aveva visto e mi faceva schifo che lui sapesse in che condizioni ero stata perché io stessa mi facevo schifo in quelle condizioni.

-non voglio parlare con te mai piu- dissi andandomene.

tornai a casa di corsa, non mi tolsi le scarpe e corsi in bagno, vomitai. Per me era troppo, pensavo fosse interessato ma non lo era, mi stava prendendo in giro, stava giocando con i miei sentimenti come tutti quanti, mi sentivo così stupida per avere ancora delle minime speranze.

Erano le sette mi buttai a letto, presi i sonniferi e provai a dormire ma il mio cervello opponeva resistenza, quello che era successo mi aveva fatto sentire ridicolosamente male, ed era così esaustivo starci male, ma non riuscivo ad incanalare tutto quello in una altra maniera se non piangendo, era ciò che mi veniva più naturale. Era come se fosse il mio stesso cibo, per saziare la fame si mangia, per saziare il dolore si piange, mi dicevo. Ma il mio dolore non era facilmente saziabile, era continuo, irreprensibile, fuori controllo.

Dopo qualche ora decisi di prendere altre gocce, ne presi di più della dose consigliata, volevo dormire, volevo chiudere gli occhi e spegnere il cervello, ma non ci riuscivo, era travolgente e il mio corpo resisteva a quei farmaci, il mio cervello li opponeva.

Scrissi alla mia psicologa
-avrebbe un momento per me domani-

Mi alzai scombussolata, mi girava la testa, accesi la luce della camera e barcollai qua e la fino alla cucina. Aprì il frigorifero c'era mezza torta avanzata, presi il latte e iniziai ad abbuffarmi, senza pensare alle calorie, sembrava che non mi interessasse.

Mia madre mi sentì e scese a dare un'occhiata.

-Liberty sono le due del mattino che fai?-

I miei occhi erano gonfi e nemmeno mentre mangiavo non riuscivo a smettere di piangere.

-sto mangiando- dissi innervosita con la bocca piena.

-tesoro, stai bene?- disse lei avvicinandosi -perché piangi?-

-cazzo mamma sono clinicamente depressa per qualcosa- dissi spingendola via

Odiavo quando faceva la premurosa, lei non lo era veramente, solo quando arrivavo a certi livelli si interessava ma nella quotidianità mi ripeteva continuamente che stavo bene se volevo stare bene e utilizzava tutto un linguaggio suo che non si incastrava con il mio, non capiva che non era così semplice come pensava. Nemmeno quando ero finita in ospedale lo capiva. Ripeteva ai dottori che sarei dovuta tornare a casa, che non era il posto per me, che stavo bene. Come facevo a stare bene un paio di ore dopo aver tentato di suicidarmi? Lei non lo capiva che avevo bisogno di staccare. Quel posto non era per me ma dovevo starci, dovevo riprendermi. Ma lei non lo capiva, non voleva capirlo.

Prese i miei polsi, alzò la manica della felpa e li controllò.

-non mi sono tagliata, cazzo- dissi  spingendola, mi alzai e me ne tornai in camera.

Solo verso le tre riuscì ad addormentarmi.

La sveglia suonò, la spensi e mi ricoprì la testa. Non volevo andare a scuola, ero distrutta per la nottata precedente e non volevo affrontare Noah o il suo sguardo. La ferita e la delusione erano ancora troppo aperte.

-Lib che stai aspettando? Alzati, sei in ritardo!- mia madre entrò in camera e tirò su le mie tapparelle.

-non ci vado a scuola oggi- dissi schiacciando il cuscino sul mio volto

-a no, sentì, non iniziare con queste stupidaggini-

-mamma mi sono addormentata alle tre di notte, non ne ho le forze- replicai

-senti, tra dieci minuti devi essere pronta, se no ti porto così come sei-

-mamma..-

-Liberty pensavo che la fase infantile del 'non voglio andare a scuola' l'avessimo conclusa qualche anno fa,ora alzati e preparati-

-ti ho detto che non ci vado e non ci andrò- dissi alzando il tono della voce

-ragazzina, ascoltami, sopporto tutti i tuoi drammi adolescenziali, i tuoi sfoghi, i tuoi scatti di ira e il fatto che tu debba andare da una psicologa ma la scuola è importante e ora ti alzi e ti prepari- disse alzando il tono ed uscendo dalla camera.

Già, i miei drammi adolescenziali li definiva lei.

Non avevo le forze di alzarmi, non avevo le forze nemmeno di sopportarla ulteriormente.

Dopo qualche minuto di rimuginamento decisi di alzarmi. Presi una felpa a caso ed un paio di jeans, andai in bagno, mi risciaquai il volto e scesi in cucina.

-dovevi proprio mangiarla con le mani la torta ieri notte?- disse Paul, il compagno di mia madre -che schifo- aggiunse guardandola
Mi tornò in mente quell'abbuffata mentre prendevo una mela, feci un calcolo veloce delle calorie acquisite con quella torta e decisi di non mangiare per tutta la mattinata, così rilasciai la mela al suo posto.

-ecco il tuo pranzo- disse mia madre porgendomi un sacchettino di carta con il mio classico panino all'interno.

Una volta arrivata a scuola, lo buttai nel primo cestino che trovai,tenerlo nello zaino era una tentazione che psicologicamente non potevo permettermi.

Aspettai che mia madre si fosse allontanata abbastanza per potermene andare al lago,le mie intenzioni non erano cambiate, non avrei resistito quella mattina a scuola.

Camminai per una ventina di minuti, quando arrivai mi sedetti in riva, presi tabacco, cartine e filtri e mi feci su una sigaretta. Era rilassante stare lì, quella quiete aveva un potere strano su di me, riusciva ad assorbire il maremoto nel mio cervello, ogni tanto passavano delle coppie di signori anziani, mi fissavano mentre me ne stavo li seduta a guardare imbambolata l'acqua, probabilmente si chiedevano che cosa facessi, se fossi una senzatetto, una drogata o una prostituta. Mi piaceva immaginare ciò che le persone credevano che fossi, che vita facessi nella testa altrui.

Le ore passarono, tra una sigaretta e l'altra.

Ricevetti un messaggio dalla mia psicologa.

-per le cinque- diceva

Eliminai la conversazione e ritornati verso la scuola, le lezioni erano quasi finite e mia madre sarebbe tornata a prendermi.

Mi nascosi in un angolo quando sentì l'ultima campanella suonare,vidi tutti quanti uscire in fretta dall'edificio, chiacchieravano, sorridevano, erano così estranei ai miei occhi.

Notai Noah uscire con i ragazzi e in quel momento vidi la macchina di mia madre arrivare, alzai il cappuccio sulla testa e in fretta mi diressi verso l'auto. Salì e misi la cintura.

Pensavo che non mi avesse visto ma quando girai la testa per guardarlo, ecco che mi notò e la sua espressione cambiò in un istante.

-allora come è andata? Così traumatico?- chiese mia mamma

Io continuai a guardarlo, per qualche motivo, non riuscivo a smettere anche se mi faceva male.

-hai intenzione di partire?- dissi

Lei finalmente mise in moto.


Liberty Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora