15.

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Io e Lukas continuammo a vederci, lui era dolce e premuroso con me, mi dava attenzioni. Stare con lui aveva un sapore diverso che stare con Noah, con Lukas sentivo una gran foga di parlare del mondo, di parlare della vita, dell' autunno, della musica anni '90, di Notorius Big e Tupac, o degli Smiths e Bob Dylan, dei film tra vecchi e nuovi, delle idee pazzesche che aveva per i suoi futuri lungometraggi e di come il riscaldamento globale avrebbe fatto sciogliere tutti i ghiacciai terrestri e che in un futuro saremo estinti per un naufragio mondiale.

Mi piaceva stare con lui ampliare la mente ad altre cose a me totalmente sconosciute e ampliare a lui la mente su tante altre cose a lui sconosciute. Non era una relazione basata sul sesso, sulla carne, sul desiderio, c'era altro e mi piaceva viverlo. Era capitato più di una volta di ritrovarci nel suo letto attaccati l'un l'altro, mi piaceva abbracciarlo, aveva un corpo esile e spigoloso. Ricordo che sentivo le sue ossa e mi piaceva sentirle, cosi come quando mi appoggiavo al petto e intravedevo lo sterno muoversi a ritmo dei suoi respiri, era come se fosse più vivo in quella pelle sottile, che traspariva il suo scheletro. Forse era che a guardarlo mi piaceva rivedermi, perché era proprio così che volevo apparire: magra e fragile.

Io e Lukas eravamo simili, troppo simili, e realizzavo, di solito a tarda notte, che per questa esagerata somiglianza non lo avrei mai potuto amare perché non ero in grado di amare me.

Ed era proprio in quei momenti, a letto, abbracciati, mentre il suo sguardo mi chiedeva di più che io non riuscivo ad essere me stessa, quella che avevo ritrovato tra la musica e le parole assieme a lui. Mi nascondevo dentro alla mia conchiglia e tornavo ad essere timida ed impacciata e lui lo capiva che non ero pronta per farlo, perché non ero mentalmente cosciente del mio corpo. Lo aveva capito del mio disturbo alimentare, iniziò a parlarmene come faceva lui, mostrandomi un film, fino all'osso regista marti noxon, fu duro quel pomeriggio, scesero solo molte lacrime e poche parole ma lui comprese bene in quei silenzi. Così che tra noi l'argomento cibo divenne quasi un taboo, non ne parlavamo, ero sempre io a scegliere se andare a mangiare qualcosa, scese un silenzio che non faceva ne bene ne male, sapevo che aveva paura, di dire la cosa sbagliata, di fare la cosa sbagliata.

Era strano andare e tornare da casa sua, cercavo sempre di evitare che Alyssa ci fosse, una volta la incontrai mentre uscivo dal loro vialetto. Lei aveva parcheggiato la sua auto ed era scesa assieme a qualche borsetta dello shopping.

-ma quello stupido di mio fratello non poteva trovarsi una ragazza migliore? Che sia veramente una ragazza- disse

Io feci per abbassare il long al cemento ed andarmene ma lei mi fermò, facendomi quasi cadere.

-stai attenta Sky, goditi questo momento splendente nella tua insignificante vita perché durerà poco- disse

-non so di che cosa parli?-

-oh andiamo- disse abbassando le borse a terra - da quando Noah ti ha preso sotto la sua ala magica da protettore delle sfigate la gente ti considera, ma sappi che posso farti allontanare da lui in men che non si dica- disse

Io la guardai, era seria e non sapevo perché quelle parole mi gelavano il sangue.

Pensavo che fosse una delle sue solite minacce senza senso, non pensavo che avesse veramente il potere di rovinare l'amicizia che si era creata tra me e Noah, era qualcosa che lei non sapeva quello che avevamo condiviso, qualcosa che nemmeno Lukas sapeva.

Per quanto il rapporto con Lukas fosse bello, mancava di quella magia, di quel mal di pancia che provavo quando stavo con Noah, il rapporto che avevo con lui profumava di sale sulla pelle dopo una nuotata a largo, quando ti siedi sotto l'ombrellone e appoggi la testa sul braccio e ne senti quel profumo che ti fa ricordare di essere viva, ti ricorda che è la stessa sensazione provata da bambina, che quella parte di te non si è ancora persa nei meandri della tua mente.

Era così che mi sentivo quando stavo con lui, non avevamo molto in comune, anzi, dalla musica ai libri era tutto differente ma con lui non avevo bisogno di quello, ci ritrovavammo a parlare di noi sempre, di null'altro, lo definivo egoistico nella mia mente, io parlavo di me perche lui chiedeva di me, e io chiedevo di lui e lui parlava di sé, non c'era altro. C'era un continuo sfogo di pensieri tra di noi. Scoprivo sempre di più cosa girava nella sua testa e in una qualche maniera ne avevo paura, paura che tutta quella serie di momenti, una volta persi mi avrebbero distrutto.

Un sera mentre eravamo al Lago, gli avevo raccontato di come avevo tentato di togliermi la vita un'anno prima.

La voce mi tremava ma sentivo che dovevo parlarne con qualcuno che non fosse un dottore, che avevo bisogno di un amico vero e proprio.

I suoi occhi si erano bloccati a guardare il lago mentre parlavo, cercavo di essere il più cinica possibile. Non volevo che trasparisse i rimpianti che avevo per aver fallito il colpo.

Raccontai il tutto, lui rimase in silenzio, non disse nulla, non mi guardò.

-Noah..- cercai di richiamare la sua attenzione

-come fai a parlarne cosi?- disse

-così come?-

-come se non fosse una tua cosa, come se stessi leggendo una cartella clinica-

Io lo guardai, non sapevo che pretendesse, forse che scoppiassi a piangere ma io non ci riuscivo, che ci mettessi emozioni in quel che dicevo? Io non volevo metterle

-è l'unica maniera in cui te le racconterò perché non voglio riviverle tra le mie parole- dissi

Lui mi fissò, io appoggiai la testa sulle ginocchia e cercai di non pensare a quel che aveva chiesto, sapevo che era troppo e anche lui lo sapeva.

-l'ho vista mia madre quel giorno- disse dopo qualche istante di silenzio

-quando?-

-quando si è tolta la vita, dovevo uscire con dei miei amici e volevo chiederle dei soldi, mio padre era in cucina e sapevo che lei era nella stanza vicino alla mia. Entrai e la vidi sdraiata, il corpo contorto, la bocca piena di schiuma, gli occhi spalancati- fece un sospiro, si passò le dita sugli occhi. Io mi avvicinai con delicatezza, senza farmi sentire, lui continuò.

-la cosa strana è che non avevo reagito a vederla così, corsi da mio padre e glielo dissi tranquillamente, non comprendevo la gravità della cosa, lo vidi scoppiare a piangere e agitarsi, chiamare l'ambulanza e cercare di aiutarla mentre rimanevo fermò a guardarlo, ricordò che quando si era accorto che lo stavo osservando mi portò in camera mia e mi chiuse a chiave dentro, non voleva che vedessi ma io avevo già visto. Ma non ne soffrì, io non piansi , non reagì e non so perché non l'ho fatto- disse le ultime parole girando a guardarmi, come se cercasse da me una risposta

Io non sapevo che dirgli, non sapevo come potevo fare in modo che quell'immagine scomparisse dalla sua testa, fare in modo che non si torturasse sul fatto che non aveva pianto e che non ne era stato male subito e che non doveva sentirsi un mostro.

-fa parte di te, essere razionale alle situazioni e non impulsivo, tu non ti fai prendere dalle emozioni e va bene che tu sia così- dissi appoggiando la testa sulla sua spalla.

Lui però si mosse, così da farmi spostare, pensando di essermi presa una liberta non dovuta guardai perché si era alzato, lui si allontanò di qualche passò, si piegò raccolse qualcosa dal prato e tornò a sedersi vicino a me. Aveva una margherita in mano e me la diede, era buio li e non capivo come avesse fatto a riconoscerla.

-grazie- dissi abbassando la testa

Lui la alzò facendo leva con il pollice -grazie a te piccola Lib- disse per poi abbracciarmi.

Quel contatto era così strano, ci stavo bene lì, ma lui stringeva come se chiedesse certezze e allo stesso modo fosse grato, la sua testa era appoggiata sull'incavo del mio collo, sentì un leggero bacio, i brividi comparvero su tutto il mio corpo.

Liberty Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora