17.

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Ricordo che stavo fissando il vialetto di casa dalla finestra della mia camera, che vidi una foglia secca cadere sul prato mentre le mie lacrime non si fermavano.

Quel dolore mi tagliava in due ma io ero calma e pacata. Noah mi odiava, il suo sguardo freddo e schifato mentre mi diceva di lasciarlo stare era la peggiore delle immagini che continuavano a ripetersi nella mia mente. Non riuscivo a sopportarlo, non riuscivo a sopportare che lui non sarebbe più stato parte della mia vita e forse credevo che vita non c'era se non c'era lui.

E cosi senza pensarci, senza rifletterci o rimuginarci presi l'acetone per togliere lo smalto dalle unghie e lo ingerì. Sentì lo stomaco bruciare, la testa girare e caddi a terra.

Mi risvegliai in un letto d'ospedale, vidi le luci, erano forti, accecanti, una flebo attaccata al mio braccio destro e mia madre appisolata su una poltrona li vicino.

La guardai qualche istante, si vedeva che era stanca, i capelli in disordine e un cardigan grigio che si teneva stretto per il freddo.

Provai a muovermi ma non ce la facevo, ci riprovai e la conseguenza fu una vomitata improvvisa.

Mia madre si svegliò di colpo.

-ommioddio tesoro- disse avvicinandosi, per poi premere un bottoncino rosso appoggiato al comodino vicino al mio letto.

-stai bene?- mi chiese

Io la guardai, aveva gli occhi gonfi e delle occhiaie spaventose, ma le sue iridi erano ciò che mi inquietavano di più: non riuscivano a guardarmi concisamente ma si muovevano in maniera confusa e spaventata.

-e tu?- le chiesi

Lei prese un fazzoletto dalla sua borsa e iniziò a pulirmi il volto.

Non disse nulla fino all'arrivo dell'infermiera.

Una signora sui cinquant'anni, con un biondo ramato ed un sorriso inquietante mi disse che stavo bene, che la flebo avrebbe dovuto ripulirmi dagli acidi in corpo, che se mia madre non fosse entrata in tempo in camera sarebbe finita male, che sarei rimasta sotto osservazione per 48 ore e che avrebbero chiamato tutti i miei dottori per parlare.

Nella mia testa credevo solo che la morte avrebbe evitato tutto quel casino, sempre vicina all'idea di non voler essere un peso per nessuno.

-voglio dormire ora- dissi a mia madre dopo che l'infermiera uscì dalla stanza.

-vuoi che chiamo qualcuno tesoro?-

-non voglio nessuno- dissi

Lei annuì, abbassando la testa per poi dirmi che sarebbe andata a prendere un thè.

Io mi addormentai.

Mi svegliai qualche ora dopo con la nausea, dovevo vomitare nuovamente, l'infermiera aveva lasciato una ciotola di plastica sul comodino, la presi.

Mia madre non era in stanza, lasciai la ciotola sul comodino quando sentì la porta aprirsi.

Noah era lì, in piedi, aveva chiuso la porta e incrociato le braccia. Era arrabbiato, lo sentivo.

Lo guardai e i miei occhi divennero lucidi, era l'unica persona che volevo vedere realmente.

-che cazzo hai fatto?- disse

-non l'ho fatto io il video Noah, credimi-

-come puoi credere che io sia qua per parlare di quel video- disse

Io alzai le spalle

-allora perché sei qua?-

-perché tua madre mi ha chiamato piangendo, disperata, perché non sa come affrontarti-

-quindi sei qua perché eri preoccupato per lei-

-dio quanto sei egoista- disse, la sua voce era straziata , come se fosse stanco, stanco di me e io non potevo dargli torto,anche se faceva male.

Misi la mano sulla fronte, sapevo di non essere come gli altri, sapevo che se qualcuno a forza di sentirsi dire certe cose veniva spronato, io no, io sarei crollata. Non mi alimentavo di energie per cambiare ma ricadevo in un baratro più profondo del precedente e lo leggevo nel suo viso che non aveva niente di carino da dirmi e che non aveva nemmeno del silenzio da darmi.

Lo capivo, lo comprendevo e sapevo che se se ne fosse andato sarebbe stato meglio.

-voglio che tu te ne vada- sussurrai

Prese la sedia all'angolo della stanza, la avvicinò al mio letto e si sedette.

-non me ne vado Liberty- disse prendendo la mia mano e iniziando a giocare con le dita, le stringeva, le piegava, le intrecciava alle sue, segnava i solchi sul mio palmo con le dita.

-è stata colpa mia?- chiese dopo qualche istante di silenzio

-no..- dissi

-forse sono stato troppo duro, io non pensavo che tu arrivassi a..- si bloccò -..io voglio che tu viva- disse

Quelle parole mi solcarono, lo guardai era così debole in quel momento, mi sentivo che non dovesse essere così, mi sentivo di averlo obbligato ad essere lì, sentivo di fargli pena e basta.

Li lasciai la mano, lui mi guardò come se gli avessi ritirato un gioccatolo.

-non è stata colpa tua, io non sto bene Noah e tutto quello che dico, penso, faccio crea delle conseguenze tossiche e malate nelle relazioni che ho, per questo devi andartene, per il tuo bene-

-non farlo di nuovo, non parlare di te come se fossi solo una cartella clinica-

Iniziai ad agitarmi, odiavo sconfinare nel vivo, odiavo quando lui ci vedeva in me più di quel che vedevo io perché pensavo non fosse reale.

-io lo sono, io sono una cartella clinica Noah, arrenditi a quest'idea-

Lui scosse la testa

-e tu arrenditi all'idea che sei viva- disse alzandosi e uscendo dalla stanza.

Guardai la porta sbattere, sapevo che era meglio così, era meglio che se ne fosse andato.

Mia madre arrivò qualche minuto dopo, non le dissi nulla, non le chiesi nemmeno perché lo avesse chiamato, vedevo la disperazione nel suo sguardo e non volevo farla stare peggio.

Liberty Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora