CAPITOLO III - Il nuovo capo

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A mano a mano che i miei occhi si abituavano alla forte luce che entrava dalla finestra realizzai quello che era appena successo.
La figura davanti a me aveva adesso contorni distinti, spalle larghe, capelli corti castano chiaro e poi quegli occhi.
Gli stessi occhi verdi che avevo incontrato poche ore prima al bar.
L'uomo con cui avevo deciso di fare la svenevole era il mio capo.
Mi sentii avvampare e sperai, con tutta me stessa, che quel fuoco improvviso, sempre più intenso, non avesse fatto cambiare troppo il colore delle mie guance.
Cercai di ricompormi, provando a mantenere una certa dignità.
«Sono Barbara Bestetti» ripetei, questa volta con voce più decisa «la nuova stagista»
Ci fu un attimo di silenzio, in cui pensai che mi sarebbe piaciuto sprofondare nel pavimento, per trovarmi direttamente al piano di sotto e fuggire via, lontano da quella situazione.
Ma poi la sua voce, calda e profonda, ruppe quell'attimo.
«Benvenuta signorina Bestetti» disse in tono cordiale «La aspettavamo. Spero abbia gradito la sistemazione che le abbiamo riservato»
Nessun accenno a quella mattina, nessun riferimento all'incontro.
Si stava comportando come se quel corteggiamento fugace, imbarazzante, non fosse mai avvenuto.
Decisi di fingere anche io, di stare al suo gioco, e parlai con quanta più disinvoltura possibile.
«Si, è una sistemazione davvero perfetta, anche l'accoglienza in aeroporto è stata ottima»
«Ne siamo lusingati»
La sua voce era come ipnotica.
Parlava, e non riuscivo a fare a meno di fissarlo negli occhi.
«Mi chiamo Alessandro Sardon, sarò il suo coach, spero che si troverà bene nella nostra azienda. Un'esperienza lavorativa all'estero è capace di aprire molte porte. Il suo curriculum è già di tutto rispetto data la giovane età, e siamo sicuri che la nostra collaborazione sarà molto proficua».
Immaginai per un attimo le mille sfaccettature che poteva intendere con la parola "proficuo".

Passammo l'ora successiva in una sorta di briefing introduttivo. Mi spiegò, più nel dettaglio, di che cosa mi sarei occupata, con chi avrei collaborato, mi diede alcuni accenni sulla composizione aziendale.
Ci fu un attimo, ma solo uno, in cui mi guardò dritto negli occhi, nello stesso modo in cui mi aveva guardata quella mattina, con un misto di sorpresa e desiderio, e aspettai che dicesse qualcosa.
Qualcosa che facesse cadere il velo di finzione che avevamo creato.
Eppure lui aveva tirato avanti, continuando a snocciolare imperterrito numeri e risultati commerciali.
Ci salutammo con una professionale stretta di mano e una scossa elettrica mi percorse il braccio, dandomi i brividi. Mi augurai non se ne fosse accorto.

Mi parve di respirare nuovamente soltanto quando mi chiusi la porta alle spalle e presi l'ascensore per tornare al piano di sotto.
Tutto sommato era andata bene, mi dissi. Avrebbe potuto mettermi in imbarazzo, farmi delle avances, invece si era comportato in maniera molto cortese, trattandomi come se fosse la prima volta che ci incontravamo. Mi chiesi se anche per lui fosse stato uno shock vedermi li in ufficio dopo avermi corteggiata quella mattina.
«Com'è andato l'incontro?» Mi chiese Raya, la ragazza della reception, aprendo le labbra in un gran sorriso «Alessandro è una persona fantastica, non è così?».
«Bene» farfugliai «Si, è stato davvero gentile. Sai dov'è il bagno per favore?»
Mi indicò una porta color avorio alla fine del corridoio.
Fortunatamente la toilette era deserta.
Mi sciacquai la faccia con dell'acqua fresca, facendo attenzione a non rovinare troppo il trucco, e mi guardai allo specchio.
Era una cosa che mi tranquillizzava sempre guardarmi allo specchio.
Era come se il fatto di essere lì, presente a me stessa, di scorgere la mia corporalità, riuscisse a farmi calmare nei momenti di ansia.
Mi dissi che forse stavo esagerando, in fondo non avevo fatto nulla di male.
Era stato lui, tra l'altro, ad iniziare. Decisi di mettere una pietra sopra all'accaduto.

Il resto della giornata trascorse tranquillamente. Passai la tarda mattinata e tutto il pomeriggio in affiancamento con James, uno degli esperti di contabilità. A pranzo mi aveva raccontato delle sue origini Pakistane ma mi spiegò che era nato da genitori inglesi. Uno strano mix di geni, in effetti, che lo rendeva piuttosto curioso alla vista: alto e allampanato ma con pelle e capelli scuri, quasi corvini; uno strano sorriso sbilenco e due occhi piccoli molto vicini tra loro.
Mi era sembrato un ragazzo molto dolce e, durante l'affiancamento, mi aveva fatto un'ottima impressione spiegandomi nel dettaglio complessi elementi di bilancio e rendendomi già autonoma su alcuni dei compiti che avrei svolto.
Nonostante fosse stata una giornata in qualche modo eccitante, piena di novità, quando verso le 18.00 James mi disse che per quel giorno avevamo finito, dentro di me tirai un sospiro di sollievo. Non vedevo l'ora di tornare a casa e stendermi un po' sul divano a riposare. Era stato impegnativo per me gestire tutto quello stress, e la forte emozione di quella mattina non aveva di certo aiutato.
Lungo la strada di casa mi fermai in un Mall (Scoprii che ce n'erano in ogni angolo a Dubai) a comprare qualcosa da tenere in frigorifero. Non ero granché abituata a gestirmi da sola e quando uscii, con tre sacchetti di spesa in equilibrio sulle braccia, ero ancora sicura di aver dimenticato qualcosa. In effetti, scoprii più tardi, avevo dimenticato il sale, per cui fui costretta a mangiare un piatto di pasta totalmente insipido.

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