CAPITOLO IX - Rimettere insieme i cocci

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«Faaris!» urlai, non appena riconobbi la figura slanciata ed atletica che avevo di fronte.

Era vestito in maniera simile a quando mi si era parato davanti per salvarmi la vita alcuni giorni prima, con un abito di raffinato tessuto bianco e il copricapo finemente adornato.
«Che diavolo fai? Cosa ci fai qui?» esclamai, ancora scossa da quella sua comparsa improvvisa.

Notai che il mio urlo aveva avuto su di lui uno strano effetto, probabilmente non si era aspettato una reazione del genere da parte mia.
Il suo viso si era contratto in una smorfia: un misto di sorpresa ed imbarazzo nel rendersi conto di avermi quasi spaventata a morte.
«Miss Barbara» cercò di giustificarsi subito, agitando le mani quasi a voler cancellare, dall'aria, quei sentimenti negativi di paura e di sgomento «Non era mia intenzione farti prendere un colpo» continuò, nel suo meraviglioso inglese dall'accento marcato e assai particolare «Ti ho chiamata varie volte dalla macchina ma non mi hai sentito, allora sono sceso e ti ho raggiunta!»

Guardai a lato della strada e notai una Porsche scintillante di colore nero, con le quattro frecce accese e lo sportello del guidatore aperto, parcheggiata in malo modo ad una decina di metri di distanza da noi.

«Sembravi così soprappensiero» aggiunse «camminavi veloce, a testa bassa senza curarti di nessuno...è forse successo qualcosa?»
«Nulla...» mi affrettai a rassicurarlo, cercando di nascondere l'improvvisa vampata di calore che mi stava dando fuoco alle guance.

Quell'incontro mi turbava profondamente.
Mi sentivo come pietrificata, incapace di reagire e di compiere azioni sensate.
Innanzitutto non capivo come avesse scoperto dove abitavo, senza contare che ormai conosceva il mio nome e cognome e l'indirizzo della mia casella e-mail personale.
Il lato razionale di me analizzò la situazione, etichettandola come una profonda violazione della privacy.
Chi era quell'uomo? Che cosa voleva da me?
Eppure una parte di me mi diceva di fidarmi.
In fondo mi aveva salvato la vita, non poteva essere una persona malvagia.

Ero decisa, ad ogni modo, a chiarire immediatamente le cose e lo affrontai in maniera abbastanza diretta.

«Faaris, prima che tu dica un'altra parola mi farebbe piacere sapere come mi hai trovata e come sei venuto a conoscenza dei miei dati personali. E' una cosa che mi ha impensierita molto. Per questo, infatti, non ho dato seguito alla tua e-mail» dissi, tutto d'un fiato.

La bocca di Faaris si schiuse in un sorrisetto malizioso.

I suoi occhi nocciola mi fissarono, magnetici.

«E' stato piuttosto facile» iniziò a spiegare, con un tono che ricordava quello di un bimbo che svela, eccitato, il trucco di un gioco di prestigio. «Il tuo nome e cognome l'ho preso dal passaporto. Ricordi che quando ci siamo incontrati la prima volta ti era caduto dalla borsetta? Beh, prima di ridartelo ammetto di averne sbirciato la prima pagina».

Lo guardai con un leggero disappunto, ma il modo divertito e quasi impertinente in cui parlava della cosa mi fece in qualche modo sorridere.

«Trovare la casella e-mail è stato altrettanto facile» continuò «è bastato inserire nome e cognome su internet e il motore di ricerca ha restituito come primo risultato il tuo profilo LinkedIn, e la rispettiva e-mail»

Continuai ad osservarlo, riflettendo su quanto effettivamente fosse facile, al giorno d'oggi, ottenere in pochi istanti informazioni personali su chiunque abbia, anche solo un minimo, collegamento alla rete. Era proprio vero che i social network, per quanto rivoluzionari nel creare nuovi modi di mettersi in contatto con altre persone, erano riusciti allo stesso tempo a ridurre la privacy in maniera drammatica. Annotai mentalmente di sostituire l'e-mail presente sui miei profili con un indirizzo secondario, magari senza nome e cognome in evidenza.
Avevo commesso, mi resi conto, una leggerezza non trascurabile.

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