CAPITOLO XXXV - Il cuore di Jessica

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La guardai sconvolta mentre mi faceva cadere tra le mani quella chiave.
Era pesante, dorata e, per me, piena di speranze.

«Che significa?» le chiesi, incredula.
Jessica restò in silenzio per qualche secondo, come se avesse difficoltà a trovare le parole giuste, come se spiegarmi le motivazioni del suo gesto le costasse fatica, la tormentasse interiormente.
«Da quando mi hai presa in ostaggio ieri» cominciò a raccontare «non ho fatto altro che chiedermi cosa ti avesse spinta a tale comportamento estremo. Noi, qui, viviamo con la consapevolezza di essere fortunate, di essere delle privilegiate: abbiamo tutto, protezione, vitto, alloggio, nessuno che tenta di farci del male. E, fra di noi, siamo solidali, abbiamo un passato comune, siamo simili, siamo ragazze fuggite a una vita di dolore. Per questo non riuscivo a capire. Mi hai spaventata a morte, ti ho odiata. "Perché si comporta in questo modo" mi sono detta, "non dovrebbe essere grata di essere qui? Di essere al sicuro?". Poi ho guardato più a fondo nei tuoi occhi, ho letto la paura nel tuo sguardo e ho capito che tu non sei come noi, sei una persona totalmente diversa. Appartieni a un mondo felice, un mondo che, per me e per le altre, è così lontano e irraggiungibile. Inoltre, quando hai avuto l'opportunità di farmi del male, di ferirmi, non l'hai fatto. Hai preferito farti prendere da Faaris, incassare i suoi colpi. Ed è allora che ho finalmente capito tutta la disperazione del tuo gesto e, soprattutto, la purezza della tua anima».

Avevo le lacrime agli occhi. Cominciai a singhiozzare, silenziosamente. Jessica mi asciugò il viso con la manica dell'hijab.

«Ciascuna di noi, chi più, chi meno, ha avuto il suo momento di rifiuto. Giorni in cui ci rendevamo conto di essere in gabbia, di essere state soggiogate dal fascino di Faaris, dalla sua promessa di una vita migliore. Ho pensato di scappare io stessa, più volte, ma il pensiero della vita fuori era più spaventoso di quello che avrei vissuto qui dentro. Ho quindi finito con l'accettare questo compromesso, questa condizione di concubina. L'ho fatto per salvarmi da un destino ben peggiore, credimi».

La ascoltavo, incapace di interrompere il flusso delle sue parole.
Era una Jessica totalmente diversa dalla ragazza che avevo conosciuto ieri. Dietro quel velo di perfezione, di finta accondiscendenza, c'era una ragazza come me, con i suoi istinti e le sue paure, una ragazza che, semplicemente, aveva fatto una scelta, per me così assurda, così inconcepibile, ma pur sempre una scelta.

«Come avrai notato, qui abbiamo tutto. Cibo, protezione, delle sorelle su cui contare e a cui affidarci. E Faaris, una volta che ha iniziato a fidarsi di noi, ci ha concesso e ci concede non pochi momenti di libertà. Possiamo girare per il palazzo, bere un tè in giardino, chiedergli di comprarci delle cose che desideriamo. Alla fine ho deciso di restare con lui, di restare con le ragazze. Ma, dopo ieri, ho capito che tu non hai nulla da cui fuggire fuori di qui. Non hai motivo per restare, se non lo vuoi. E così, ho deciso di aiutarti».

L'avrei baciata, stretta tra le mie braccia fino a stritolarla.

«Come riesci a sopportare tutto questo?» le chiesi poi, incredula «Faaris viene a letto con ciascuna di voi?»
Jessica abbassò lo sguardo, imbarazzata, un'espressione di vergogna dipinta sul volto.
«Faaris ci prende quando desidera, e noi ci concediamo a lui come è dovere di una moglie».

Sottolineò la parola "dovere" impregnandola di un quid quasi mistico, spirituale, come se davvero si fosse calata nella parte, come se quel destino ormai le appartenesse da sempre.

«Jessica» le dissi «tu, come me, provieni da un paese occidentale. Sai benissimo che le donne sono e devono essere uguali agli uomini. Dovresti stare con lui solo se, anche tu, desideri farlo».
«È da quando ero una bambina che le cose non sono mai andate così per me, Barbara» sospirò lei, malinconica, persa con la mente in un passato che, forse, non aveva neanche più la forza di ricordare «Faaris ci rispetta, seppure a modo suo e compatibilmente con la sua cultura. Se, qualche volta, una di noi gli ha chiesto di non farsi prendere quella notte, di essere indisposta, lui non ci ha mai obbligate, non ci ha mai fatto violenza».
«Non ci credo» le dissi «con me è stato violento. Più volte. Tu e le altre meritate di meglio, una vita libera che lui non può e non vuole darvi. Vi aiuterò se me lo permetterete. Possiamo farcela tutte assieme...»

La rosa del desertoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora