CAPITOLO XVIII - Sotto la superficie

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Gli occhi senza vita di quell'animale, spenti, vitrei, sembravano fissare i miei in modo ironicamente vivido, benché assopiti in un silenzio di morte. La testa, sgozzata, giaceva a pochi metri dal corpo, che era riverso su una duna poco distante.
Il contrasto fra l'arancione rossastro della sabbia e quello rosso quasi marrone del sangue secco mi bruciò gli occhi.
Distolsi lo sguardo, nonostante una parte di me ne fosse per qualche strana ragione calamitata; trattenni a stento un conato di vomito.

«Maledetti bastardi» sentì esclamare Faaris che, nel frattempo, mi era piombato alle spalle, probabilmente allarmato dalle mie urla.
Era ancora a piedi nudi e indossava solo il pantalone bianco di lino.
Lo guardai e mi sembrò di non riconoscerlo, quasi come fosse un estraneo, un' entità materializzatasi al mio fianco ma di cui, d'un tratto, mi sentivo inconsapevolmente prigioniera.
Mi cinse le spalle, stringendomi a sé, e quel contatto invece di rassicurarmi, mi gelò ulteriormente.

Adesso che ero totalmente sveglia mi sentivo smarrita, svuotata: tutto ciò che mi era sembrato così eccitante e familiare il giorno prima, adesso sembrava attraversarmi come una corrente gelida, ignota. Ero stata a letto con lui, mi ero lasciata andare, vittima di un'euforia che non avrei mai creduto di poter provare e che, invece, pure mi aveva travolta, allontanandomi da me stessa, dai miei principi morali.

«È tutto a posto, è tutto a posto» mi sussurrò lui, cercando di scuotermi dal mio torpore.

Non risposi, mi sentivo ancora in stato di shock. Di certo, quando avevo aperto la porta, non ero preparata a quello spettacolo raccapricciante.

«Chi è stato?» sussurrai, riprendendo finalmente l'uso della parola.
Osservai Faaris tentennare per un momento come se stesse soppesando, accuratamente, le parole da dirmi.
Guardai la sua espressione cambiare impercettibilmente più volte, non mi ero mai accorta di quanto potesse il suo viso cambiare nell'arco di pochi istanti mostrando allo stesso tempo odio, disprezzo, ma anche un mistero che non era più quello affascinante del potere o della ricchezza, ma qualcosa di diverso, di oscuro. Chi era il ragazzo che era lì, in piedi, davanti a me?
«Beduini del deserto» spiegò infine «della peggior specie. Non è la prima volta che succede, a me e ad altri miei conoscenti che hanno dimora qui»
«Ma cosa vogliono?» chiesi allarmata «perché fare del male a questi poveri animali?»
«Il loro intento è spaventarci. Non sopportano la nostra presenza nel deserto. Un tempo questa landa apparteneva a loro, sono nomadi e giravano indisturbati. Deve essere difficile accettare che un gruppo di ricchi possidenti si sia stabilito qui, che ci siano degli accampamenti, degli avamposti turistici».
«È terribile, ma perché sacrificare un cammello?» esclamai, dubbiosa «bisognerebbe denunciare la cosa»
«È stata segnalata più volte, Barbara, ma purtroppo è difficile trovare il reale colpevole»

Quella spiegazione non mi convinceva, non del tutto almeno.
Ero convinta che i cammelli avessero un certo valore, perché ucciderne uno soltanto per instillare terrore? Non sarebbe stato più facile danneggiare, in qualche modo, l'abitazione?

Rientrai malvolentieri in casa e Faaris mi accompagnò in cucina.
«Arrivo tra poco e ti preparo la colazione» promise «ma prima devo fare un attimo una telefonata»

Lo vidi prendere il cellulare, comporre un numero, e intrattenere una lunga conversazione in arabo con un ignoto interlocutore.
Più volte i toni del dialogo sembrarono alzarsi, lo sentii pronunciare parole sconosciute che avevano tutta l'aria di essere delle imprecazioni. Purtroppo non conoscevo la lingua e non fui in grado di afferrare il senso della discussione.

Pochi minuti dopo tornò da me.
Era calmo e un leggero sorriso rassicurante era disegnato sulle sue labbra.
«Ho mandato un mio aiutante a rimuovere il corpo, non voglio che tu veda di nuovo quello scempio, i tuoi occhi innocenti non dovevano assistere a un simile spettacolo»

La rosa del desertoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora