CAPITOLO XII - Un invito a ricominciare

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Non avevo mai viaggiato in una Porsche prima di allora.

Una sola volta, in pista a Maranello, avevo fatto un giro guidato in una Ferrari; ma quello era un circuito lineare, pensato apposta per l'alta velocità.

Ben diverso era essere trasportata da uno di quei bolidi nel traffico della città, tra frenate improvvise, incroci e curve a gomito.
Avevo la cintura di sicurezza allacciata ma, nonostante ciò, con una mano mi tenevo saldamente ancorata allo sportello, le nocche bianche per lo sforzo.
Al contempo mi sembrava di guardare tutto dal basso verso l'alto, di essere praticamente seduta sull'asfalto.
Avevo persino fatto fatica a salirci tanto erano bassi la seduta e il corpo della vettura.

Guardai Faaris, seduto al lato guida, che sembrava, invece, perfettamente a suo agio.
Ricambiò il mio sguardo e mi restituì uno splendido sorriso da pubblicità.

Quel venerdì sera indossava dei pantaloni eleganti ed una camicia bianca appena sbottonata sul petto, da cui si intravedevano un torace ben definito ed una vistosa collana d'oro. Era in abiti occidentali, fatta eccezione per il solito copricapo bianco adornato.

Ero incantata dalla sua eleganza, dal suo portamento, e soprattutto dalla sua quasi ostentata sfacciataggine.

Non sapevo ancora nulla di lui, i nostri contatti fino a quel momento erano stati rari e sporadici, e mi chiesi se per caso non fosse un principe, venuto a salvarmi dallo stato di apatia in cui ero precipitata dopo gli eventi della settimana precedente.

Quando Ahmed mi aveva consegnato quella lettera, dicendo che l'aveva lasciata un ragazzo di nome Faaris, mi ero a lungo interrogata sulla stranezza del suo modo d'essere.
Due soli contatti, spalmati nell'arco di un mese.
Un interesse che, se all'inizio mi era sembrato decisamente forte, al punto di cercare informazioni su di me, di raggiungermi a sorpresa sotto casa, dall'altro pareva un gioco, una sfida di cui si ricordava soltanto quando decideva di farlo.

Avevo aperto quella lettera soltanto il giorno seguente.

L'avevo lasciata sul comodino accanto a me, tutta la notte, come fosse una fonte di speranza e di novità alla quale non volevo ancora attingere.

Mi bastava che fosse lì, pregna di possibilità, pronta a regalarmi quello che speravo essere un piacevole diversivo, nel momento in cui avessi deciso di aprirla.

Lo feci soltanto il lunedì pomeriggio.

Andare a lavoro, con la paura di incontrare Alessandro, magari in compagnia di Angela, mi aveva tenuta in tensione per tutto il giorno.

Avevo confidato a Raya quello che era successo e lei aveva appoggiato le mie scelte, dicendomi che non avrebbe saputo reagire in maniera più ferma ma allo stesso tempo pacata, senza creare inutili litigi e rancori.

Mi disse che era fiera di me.
Quella sua vicinanza mi scaldò il cuore.

Eppure la sera stessa, una volta rientrata a casa, mi ero sentita così sola, così vuota, che avevo deciso di abbeverarmi attraverso quella nuova, inaspettata fonte.

Avevo così rimosso delicatamente il sigillo, cercando di non danneggiare la busta, e avevo letto il contenuto della lettera.

Mi ero trovata tra le mani un elegante volantino dell'Atlantis Hotel di Dubai, uno degli alberghi più esclusivi e costosi della città.
Avevo sentito parlare spesso di quel posto.
Mi era stato descritto come assolutamente fantastico da chi ci era stato: un'enorme struttura dislocata sull'estremità della palma artificiale di Jumeirah. Al suo interno sembrava contenere un parco acquatico tra i più belli e moderni del mondo, un'acquario incredibile che la gente faceva la fila per visitare, ed uno dei ristoranti più particolari che si potessero immaginare, proprio all'interno di quell'acquario.

La rosa del desertoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora