CAPITOLO XIV - Odio, riflessioni e gelosia

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Passai tutta la notte a lambiccarmi la mente su quello strano evento.

Ero davvero sicura di non essere stata io, magari mentre mi preparavo, a lasciare la finestra aperta nonostante l'aria fosse, come sempre, molto calda e io aprissi le finestre assai raramente e solo per areare l'ambiente?

Poteva il vento, che a Dubai molto di rado batte la città in maniera potente, aver generato una folata improvvisa, così forte da spostare una lampada che, comunque, aveva un certo peso?

La mia parte razionale mi diceva che doveva essere andata proprio così, che nessuno aveva violato la mia intimità, la mia casa.

Eppure l'istinto aveva registrato immediatamente quell'avvenimento come insolito, inspiegabile.

E il mio istinto, spesso e volentieri, aveva ragione.

Presa da una strana smania avevo rapidamente controllato tutta l'abitazione.
Il mio computer sembrava al suo posto, così come il plasma in soggiorno. Anche i miei beni personali di valore, come i soldi e il passaporto, erano in ordine.
E allora cosa poteva essere successo?
Perché qualcuno sarebbe dovuto entrare in casa senza rubare nulla?

Improvvisamente iniziai a sentire freddo. Alzai la temperatura dell'aria condizionata, ma brividi gelidi continuavano a scuotermi le spalle.

Non mi aveva mai creato problemi passare la notte da sola: lo avevo fatto  spesso quando avevo viaggiato, ed anche in Italia, quando mia madre partiva per una gita fuori porta con le amiche o andava alla casa al mare, rimanevo volentieri nella mia terapeutica -così amavo chiamarla- solitudine.

Eppure adesso era come se avvertissi una nuova presenza, uno sguardo che mi fissava nella notte.
Lo vedevo nel riflesso della luce sullo specchio, nel cigolare leggero delle assi di legno sotto i miei piedi, nel mesto brusio elettrico del frigorifero.

Decisi che non mi sarei lasciata influenzare da quelle paranoie.

Chiusi gli occhi, mi strinsi nelle coperte e, all'alba, finalmente caddi tra le braccia di Morfeo.

Mi alzai abbastanza presto il sabato seguente, considerando che dovevo essermi addormentata, volendo definire in tal modo il sonno agitato e nervoso in cui ero precipitata, verso le cinque del mattino.

Alle nove e un quarto ero già in piedi, ancora turbata per quella piccola stranezza della sera precedente.

Trascorsi buona parte della mattina a cercare segni di una possibile effrazione in casa mia.
Passai al setaccio tutte le stanze, osservando attentamente la disposizione dei vari oggetti. Non mi sembrò di trovare nulla di strano e, nuovamente, mi chiesi se non fosse tutto frutto della mia immaginazione, delle mie paure.
Soltanto in cucina trovai, nella pattumiera, un bicchiere che ero quasi sicura di aver lasciato sul bancone. Ma in quel caso dovevo sicuramente sbagliarmi. Non era possibile che un presunto invasore avesse deciso di mettere ordine al mio posto.

Poco dopo uscii per delle compere.

In portineria vidi Ahmed. Colsi l'occasione e mi avvicinai a lui chiedendogli se per caso, la sera precedente, avesse visto qualcuno di sospetto entrare nell'edificio.
Sembrò allarmarsi a quella mia domanda.
«È successo qualcosa, signorina Barbara?»
«No, no, Ahmed stai tranquillo» cercai di rassicurarlo «La mia era solo una curiosità»
Mi allontanai con un rapido saluto prima che potesse rivolgermi qualche domanda imbarazzante.
Lo vidi sporgersi dal suo bancone ed aprire la bocca in un verso muto che il mio sgattaiolare via, rapida, spense prima ancora di dargli un suono.
Non avevo intenzione di dirgli che mi ero insospettita perché avevo trovato una lampada in frantumi.
Mi avrebbe preso per pazza.

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