CAPITOLO XVI - L'accampamento

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«Un Burqa?» chiesi stupita, non appena riconobbi le fattezze di quell'abito «ma io...»
«Un Hijab per la precisione. Prendila come un gioco» mi interruppe lui, notando l'evidente disappunto che doveva essersi dipinto sul mio volto «anche io indosserò il mio costume tradizionale. Vorrei soltanto che stasera tu fossi la mia donna, che provassi a vivere, per qualche ora, secondo le tradizioni della mia religione e della mia cultura».

Ero perplessa.

Non conoscevo la religione musulmana, le sue usanze e i suoi precetti, ma non ero affatto convinta che una ragazza occidentale potesse indossare quel tipo di abbigliamento così facilmente.

D'altra parte, dovevo ammettere a me stessa, quel gioco mi intrigava.
Sarebbe stato bello, per una notte, fingermi una persona diversa da quella che ero, immaginare una vita che non era mia, sentirmi la sua donna, la sua principessa.

«Faaris, io sono Cattolica» precisai, sperando di fargli intendere che non era mia intenzione, indossando quell'abito, andare contro quelli che potevano essere i suoi valori e le sue credenze «per giunta non praticante. Sei assolutamente sicuro che io possa indossare quest'abito senza conseguenze? Non potrebbe essere offensivo?».

«Fidati di me» disse «nel posto in cui andremo conta solo il denaro. Non importa come sei vestito o chi tu sia in realtà. Se ti chiedo questo è soltanto per un mio piacere personale, stai tranquilla».

Colsi una nota di velata tristezza nella sua voce.
Pronunciò la parola "denaro" con un disprezzo che mi sorprese.

Immaginai che i soldi, forse, potessero in molti casi far venir meno la sincerità dei rapporti interpersonali.
Quante ragazze dovevano essere state con lui soltanto perché avevano colto le mille possibilità della sua enorme ricchezza? Io stessa, lo dovevo ammettere, ne ero attratta anche in virtù del suo potere. Il suo ceto sociale mi intimidiva, certo, ma allo stesso tempo rappresentava l'opportunità di accedere a esperienze e a cose che non avevo mai sperimentato.

Mi chiesi se, agendo così, stessi approfittando anche io di lui nel modo che sembrava fargli così tanto ribrezzo.

Mi avvicinai e lo abbracciai, stringendolo forte.

Volevo fargli sentire il mio calore.

Volevo fargli capire che, nonostante tutto, era la sua persona che mi piaceva e non soltanto quello che rappresentava.

«D'accordo» gli dissi infine «farò come preferisci»
«Splendido» sorrise lui «Ti basta mezz'ora per darti una rinfrescata e per vestirti?»

Risi di gusto.

«Stai davvero chiedendo ad una donna se mezz'ora è sufficiente per prepararsi ad una cena? Farò di tutto per farcela, ma non ti garantisco di riuscirci»
Anche Faaris scoppiò a ridere: una risata cristallina, maschile. Il tono della sua voce era estremamente sensuale.
«Hai ragione. Prenditi il tempo che ti serve. Cerca solo di non farci rimanere a digiuno».

Si avvicinò a me, mi prese il mento tra le mani e mi sfiorò appena le labbra con le sue causandomi un brivido di piacere.

«Ci vediamo tra poco» concluse, uscendo dalla stanza.

Mi diressi nuovamente verso l'armadio e presi tra le mani quello che sarebbe stato il mio costume per la serata. Anche il solo fatto di chiamarlo "costume" mi faceva sentire quasi in colpa.
Passai le dita sul tessuto, saggiandone la consistenza.
Era un abito semplice, ma allo stesso tempo raffinato, eppure mi faceva quasi impressione toccarlo.
Sentivo come se stessi violando qualche precetto che nemmeno conoscevo, come se stessi facendo qualcosa di proibito, di impuro. Tirai fuori quel vestito e lo appoggiai sul letto.

La rosa del desertoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora