CAPITOLO XI - La fine di tutto?

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Angela, Angela, Angela.

Quel nome mi pulsava nelle tempie facendomi esplodere la testa.

Avvampai.

Un'ondata di calore che sembrò partirmi dalla punta dei piedi, mi percorse rapida tutto il corpo, arrivandomi alle guance, infiammandole, bruciando ogni cellula.

La cartellina mi cadde da mano e tutti i fogli si sparpagliarono disordinatamente sul pavimento. Mi chinai, frettolosamente, a raccoglierli.
In quel momento la porta si aprì, rivelando la mia presenza.
In ginocchio sul pavimento, umiliata, con le lacrime agli occhi, osservai la figura di Angela che si stagliava prepotentemente su di me.
A vederla da quella prospettiva sembrava un mostro pronto a schiacciarmi, una presenza gelida e ingombrante che pareva risucchiare via da me ogni emozione positiva.

Era decisamente bella.

Avrà avuto poco più di 30 anni, ma era ancora nel pieno fiore della sua bellezza: luminosi capelli biondo scuro, appena più corti dei miei, contornavano un viso dai tratti angelici; carnagione chiara, profondi occhi castano-verdi che, per un attimo, mi ricordarono quelli di Alessandro.

Guardarla mi faceva bruciare dentro, eppure non riuscivo a staccare gli occhi da lei, da quel suo viso perfetto e allo stesso tempo glaciale, come se volessi assorbirne ogni particolare, studiarla fin nei minimi dettagli.
Indossava un tailleur elegante che metteva in risalto le forme generose del corpo, aveva le unghie delle mani perfettamente smaltate e un anello dorato al dito.

La fede.

Angela portava ancora la fede.

Sentii che il corridoio iniziava a girare attorno a me, vorticosamente, e il cuore a battermi sempre più forte.
Dovevo andare via da lì il più velocemente possibile.
Angela mi guardò, stesa a suoi piedi, mi sorrise gentilmente e si chinò ad aiutarmi.
La guardai impietrita mentre mi rivolgeva qualche frase di circostanza a cui non seppi rispondere altro che sì, come un automa.
«Le è caduta la cartellina, aspetti che l'aiuto a raccogliere tutto»
«Sì»
«Sono cose che succedono, anche io sono piuttosto sbadata»
«Sì»
Mi sentivo come inebetita, annichilita dalla sua presenza.

E poi si presentò.

Disse che si chiamava Angela.

Un nome che conoscevo già decisamente bene.

«Barbara» balbettai con un filo di voce «adesso devo andare, scusate se vi ho interrotto, è stato un piacere conoscerla» le dissi.

Guardai Alessandro.
I suoi occhi verdi sembravano non tradire emozione, ma vi colsi comunque una luce diversa, quasi di frustrazione.
Mi guardava, con un'espressione all'apparenza impassibile, ma riuscii a leggere sul suo volto tristezza, sconforto, e anche, ovviamente, imbarazzo.
Fece per bloccarmi dicendomi che aveva finito, che potevo restare, ma non badai alle sue parole.
Camminai, senza dire nulla, verso l'ascensore.
Aspettai che le porte si chiudessero prima di lasciare libero sfogo alle lacrime che da qualche minuto, ormai, non aspettavano altro che inondarmi il viso.

Appena le porte del ventesimo piano si aprirono, Raya si alzò come una saetta dalla sua postazione, corse verso di me ed entrò a sua volta nell'ascensore, prenotando il piano terra.
«Andiamo» mi disse «non è il caso che in ufficio ti vedano in queste condizioni».

«Da quanto lo sapevi?».
Eravamo ad un bar a pochi metri dall'ufficio, il famoso bar dove tutto era cominciato, sedute ad un tavolo davanti ad un fumante caffè americano.

Avevo ricacciato indietro, a poco a poco, le lacrime e, quel bruciore che avevo avvertito, quella vampata così intensa, adesso erano state sostituite da un pesante senso di spossatezza.
Raya mi osservava, pensierosa, un'espressione del viso contrita ed evidentemente dispiaciuta.
«L'ho capito da subito, Barbara. Da come lo guardavi e da come lui guardava te. In questo mese e mezzo che abbiamo passato insieme ti sarai resa conto che sono un'acuta osservatrice».
«Per questo hai cercato di impedirmi di salire al piano di sopra? Per evitarmi quella sofferenza?»
«Sì» rispose lei, con un sospiro «Quella donna è passata da me a chiedere dove si trovasse l'ufficio del Sig. Sardon».
Mi ricordai, in effetti, di averla notata attraverso il vetro ma di non averci prestato attenzione.
«Si è presentata come sua moglie» continuò Raya «Sapevo che lui era sposato e che c'era una storia particolare alle spalle, ma non l'avevo mai visto indossare la fede e lei, d'altro canto, non si era mai presentata in ufficio prima di allora, nonostante mi occupi dell'accoglienza da più di un anno. Non sapevo neanche che fosse in città. E' stata una sorpresa anche per me» spiegò.

La rosa del desertoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora