CAPITOLO XXVII - In ospedale

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Dovevo correre in ospedale.
Ero stanca, distrutta fisicamente e psicologicamente da quella giornata in Oman, ma Alessandro mi voleva vicina, aveva chiesto la mia presenza, e io avrei fatto di tutto per lui, per restargli accanto.

«Non è grave» mi aveva subito rassicurata Angela «è stato colpito al fianco, hanno tentato di rapinarlo, di rubargli il portafogli».

Ricordavo l'avventatezza di Alessandro, il modo in cui aveva inseguito quello scippatore per i vicoli malfamati della città, al Dubai Creek. Non avevo difficoltà a credere che anche in quell'occasione la sua virilità, il suo volersi dimostrare coraggioso, lo avessero portato a reagire, provocando una colluttazione che poteva rivelarsi fatale. Speravo soltanto che non fosse stato così, che non si fosse comportato in maniera imprudente.

«Scusami per la voce, sono ancora molto scossa dalla telefonata dell'ospedale, non volevo farti prendere un colpo».
«Non dirlo nemmeno per scherzo» risposi «mi vesto e arrivo!»

Mi fiondai trafelata fuori di casa per raggiungere l'ospedale dove avevano ricoverato Alessandro. La stanchezza che avevo provato poco prima era stata sostituita da una buona dose di adrenalina.

Apprezzavo moltissimo che Angela mi avesse chiamata, che lui stesso avesse voluto informarmi, che mi desiderasse al suo fianco.
D'altra parte però non potevo fare a meno di provare una fitta di gelosia nel pensare che Angela fosse già lì, che era sua moglie, messa a conoscenza per prima di quella notizia in virtù del suo stato.
Chi ero io, in fondo? Che titolo mi legava ufficialmente ad Alessandro? Cercai di scacciare con forza quei pensieri negativi. Loro volevano la mia presenza. Non c'era niente di nascosto e di oscuro, dovevo essere grata del loro modo di comportarsi, del fatto che entrambi non solo avessero accettato la nuova vita dell'altro ma che, anzi, la incoraggiassero. Erano due persone intelligenti, non potevo negarlo.

La corsa in taxi mi sembrò interminabile: il traffico della città sembrava più intenso del solito, ma forse era la mia fretta a farmi vedere tutto in maniera decisamente pessimistica. Fatto sta che restammo imbottigliati in un ingorgo stradale all'uscita della Sheik Zayed Road e impiegai più di mezz'ora per arrivare a destinazione.
Durante quel tragitto non potei fare a meno di pensare a quell'ennesima, tragica, coincidenza.
Come era possibile che, nel momento esatto in cui avevo deciso di rompere con Faaris, Alessandro venisse accoltellato, che avesse rischiato la morte?
Era possibile che fosse stato proprio Faaris, o magari qualche suo sgherro, a ferire Alessandro?
Una parte di me tendeva a escludere quella ipotesi: eravamo appena tornati dall'Oman, prima di quel giorno non gli avevo dato segnali evidenti di una nostra possibile rottura e, almeno per tutto il tempo che eravamo stati insieme, non aveva mai preso il cellulare per chiamare o avvisare qualcuno.
E allora perché nella mia testa albergava quel dannato dubbio?

Mi aveva molto colpita la frase che Faaris aveva pronunciato quella mattina stessa: non sono un assassino, Barbara.
Il tono serio, la voce ferma, quasi a volermi dimostrare che, effettivamente, non si era mai spinto a tanto, ma dimostrandomi allo stesso tempo il contrario, e cioè che se pure non era arrivato a commettere o a essere il mandante di qualche omicidio, certamente aveva fatto altro di illegale, delitti, magari minori, con cui si era guadagnato o aveva tutelato i suoi interessi, il suo potere.

Ma se non era stato lui, allora chi?
Ma certo, James.
Chi altri, se non lui, poteva nutrire rancore verso di me e, di riflesso, verso Alessandro?

Uscii bruscamente dalla vettura, lasciando al tassista una cospicua mancia, e corsi alla reception, chiedendo di Alessandro Sardon. L'infermiera mi disse che si trovava al quarto piano.

Per una volta che c'era la possibilità di prendere le scale invece che l'ascensore non mi lasciai scappare l'occasione. Feci le otto rampe che mi separavano da lui di corsa, le mie Adidas che producevano un leggero scricchiolio sulla superficie di linoleum.
Mi avevano indicato la stanza 4023.
Lessi sul muro i vari cartelli con le indicazioni e, dopo qualche incertezza, finalmente la trovai.

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