CAPITOLO XX - Sentimenti contrastanti

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Non riuscii a chiudere occhio quella notte.

Perché Raya mi aveva mentito? Perché non mi aveva detto tutta la verità?
Eppure ero sicura di averle lasciato intendere la mia completa apertura mentale, la mia vicinanza. Non l'avrei giudicata, ma lei non mi aveva dato modo di dimostrarglielo.

Ciò nonostante, non potevo fare a meno di chiedermi cosa l'avesse spinta a percorrere quella strada, a vendere il suo corpo a uomini ricchi e potenti.

Perché era proprio questo che faceva, Faaris ne era certo.

Gli avevo chiesto più volte se le sue parole fossero basate su un dato di fatto o su una semplice illazione, se stessimo parlando della stessa persona o se potesse trattarsi di un semplice caso di omonimia, di un' incredibile coincidenza, ma lui non aveva lasciato adito a dubbi.

La mia amica Raya, la ragazza timida e di buoni sentimenti che avevo imparato a conoscere, o meglio credevo di avere imparato a farlo, era in realtà una escort d'alto bordo.

Jasmine.

Questo era, quindi, il suo nome d'arte, l'appellativo con il quale era conosciuta nell'ambiente. Non solo un'esperta danzatrice del ventre, una sinuosa odalisca capace di intrattenere il pubblico con i suoi spettacoli, ma anche una donna che si concedeva per denaro.

Ripensai all'uomo che l'aveva chiamata al campo, allo strano abbraccio lascivo che le aveva rivolto, al suo tono viscido, supponente.
Anche lui, immaginai, doveva essere uno dei suoi clienti.

Mi scoppiava la testa, non sapevo più a cosa pensare.

Se, da un lato, il suo problema mi stava ancora a cuore, era reale, le stavano estorcendo del denaro, e la parte di me che la considerava ancora un'amica non poteva esserne indifferente, dall'altro non potevo fare a meno di essere arrabbiata con lei per la sua avventatezza e, soprattutto, per il fatto di non avermi detto la verità.

Meglio, più che arrabbiata mi sentivo profondamente delusa.

Mi girai e rigirai tra le lenzuola.

Nonostante l'aria condizionata fosse accesa mi sentivo insofferente, accaldata. Iniziai a fissare il soffitto e, nuovamente, un turbine di pensieri mi invase la mente.
Non riuscivo ancora a credere a quella situazione, era come se aspettassi da un momento all'altro di svegliarmi, di scoprire che era solamente frutto della mia immaginazione.

Purtroppo non era così.

Con quanti uomini sarà stata? Cosa avrà provato ogni volta? L'avrà fatto davvero per amore di sua madre o anche quella era una bugia? Quali dovevano essere i motivi che l'avevano spinta? Da quanto tempo andava avanti?
Era difficile dare una risposta a tutte quelle domande.
Domande che, però, continuavano a turbinarmi nella testa, invadenti, corrosive.

Mi chiesi se anche l'uomo che, adesso, la tormentava fosse un suo cliente; probabilmente sì.

Era vero che si stavano avvicinando? Che lei era innamorata? A quale parte e, soprattutto, a quanto di ciò che mi aveva raccontato dovevo credere?

Difficile dirlo, a questo punto.

Sperai, con tutta me stessa, che Faaris riuscisse a sciogliere quel nodo il prima possibile.
Una volta che la situazione si sarebbe calmata avrei avuto modo di parlarle in maniera sincera, schietta, le avrei detto che sapevo tutto e le avrei chiesto di dirmi la verità.
Per adesso, se ancora tenevo a lei, se ancora mi importava della sua serenità, dovevo mettere da parte i sentimenti negativi che provavo e fare di tutto per aiutarla a risolvere la situazione.

Sì, era quella la strada giusta.

Il giorno dopo mi presentai a lavoro con delle profonde occhiaie.
James, alla scrivania accanto alla mia, mi guardò sottecchi.
«Abbiamo fatto baldoria ieri sera?» mi chiese, pungente.
Il mio sguardo truce lo inibì dal pormi ulteriori domande e lo vidi infossare la testa tra le scartoffie.
«Ok, scusa» mormorò.

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