CAPITOLO XXXVII - Una fuga disperata

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Quel boato sordo mi gelò.

Fu come se il tempo si fosse fermato, come se l'aria attorno a me, di colpo, fosse stata privata di tutto l'ossigeno.

Vidi Alessandro cadere, una macchia rossa di sangue allargarsi sulla manica della sua t-shirt.

«Alessandro!» urlai.

Nella mia mente, in un attimo, si affacciò il dramma della sua morte.
Fu un'immagine violenta, potente.
Lo avrei perso.
Il nostro amore, che finalmente aveva iniziato a splendere senza più nuvole all'orizzonte, sarebbe finito, sarebbe stato violato da quella maledetta vicenda che stavamo vivendo e di cui, a causa mia, era stato anche lui un involontario protagonista.
Sarei rimasta sola, tutte le mie certezze sarebbero crollate, sarebbero svanite per sempre.

Ma lui si rialzò, mi prese di forza per un braccio e mi trascinò in avanti, ancora inebetita, le gambe molli come quelle di una bambola di pezza.

«Presto, correte».
La voce di Angela, decisa, imperativa, ci stava comandando di raggiungerla.
Quella voce mi riportò alla realtà, fece scorrere nuovamente il sangue nelle mie vene. Sollevai la testa, la guardai negli occhi e di fronte a me non vidi la donna che conoscevo: era un'altra, una guerriera celeste, indomita. Aveva, sul volto, nello sguardo, la forza di chi non si arrende di fronte a nulla e io ne conoscevo bene il motivo, l'origine. Sulla testa, il foulard verde, ben legato, le conferiva un aspetto ancora più selvaggio, addirittura ruggente.
«Forza!» ci incalzò.

Scavalcammo una delle due grosse porte di ferro, quella che, dopo l'urto, si era abbattuta pesantemente sul terreno, evitando di colpirci soltanto per pochi centimetri.
Ci avvicinammo all'auto, l'uno dietro l'altro, a testa bassa e col busto proteso in avanti.

Fu allora che lo vidi, seduto accanto a lei sul sedile del passeggero: James.
Lacrime silenziose iniziarono a scendermi dagli occhi.
Allora, per una volta, avevo riposto la mia fiducia nella persona giusta.
L'intuito mi aveva ripagata.
James era davvero la persona splendida in cui avevo deciso, a discapito di tutte le apparenze, di credere. La persona a cui mi ero affidata, a cui avevo donato tutte le mie speranze in quel terribile momento di difficoltà. E, adesso, lui era lì per me, pronto a rischiare la sua incolumità per salvarmi. Non sarei mai stata in grado di ringraziarlo abbastanza, di ringraziare non solo lui, ma tutti loro: quella famiglia acquisita che mi stava dimostrando il suo amore, la sua presenza, la sua vicinanza.

«Forza, tutti dentro!» ci incitò James, aiutandoci ad aprire lo sportello posteriore.
Io, Alessandro e Jessica ci fiondammo all'interno della vettura. Notai il suo sguardo perplesso nel vedere quella ragazza. Non sapeva ancora chi fosse e, probabilmente, era rimasto sorpreso dalla sua inattesa presenza. Tuttavia non parlò.

Guardai Alessandro, il suo braccio: il proiettile sembrava averlo colpito di striscio, aveva un taglio piuttosto profondo, ma non sembrava grave. Mi strinsi forte a lui.

Sbirciai verso l'ingresso del palazzo e notai che i tre uomini, nel frattempo, avevano a loro volta recuperato un veicolo, un vecchio furgone blu scuro, e avevano messo in moto, intenzionati a raggiungerci.

«Presto» urlai «dobbiamo andare!»
Angela fece retromarcia e, subito dopo, un'inversione talmente brusca che andammo tutti a sbattere contro lo sportello sinistro.
«Scusate, ho una guida abbastanza sportiva» disse lei, ripartendo a tutta velocità.

Ci eravamo allontanati soltanto di qualche metro che i tre uomini, a bordo del furgone, avevano già raggiunto il cancello, il punto dove eravamo noi soltanto pochi istanti prima. Li vidi scendere, cercare di liberare il passaggio dal pesante sportello di metallo abbandonato sul terreno.

Avremmo guadagnato qualche altro secondo prezioso.

Angela schiacciò l'acceleratore a tavoletta e ci fiondammo lungo la strada male asfaltata davanti a noi. All'orizzonte soltanto le dune del deserto, illuminate dalla luce della luna piena.
«Abbiamo impiegato più di quindici minuti a venire qui dalla prima strada frequentata» disse lei, come interpretando i miei pensieri, le mie preoccupazioni, su quanto tempo sarebbe stato necessario per uscire da quella situazione, per tornare alla civiltà «dobbiamo percorrerli più velocemente possibile».

La rosa del desertoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora