Angelo

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Era il primo giorno di scuola, fu proprio al rientro dalle vacanze di natale quando entrando in classe mi accorsi della mancanza del mio migliore amico, nonché compagno di banco, Jimin. Non appena mi accorsi della sua assenza pensai immediatamente:
È vero che jimin è basso, ma dov'è?

Dopo qualche minuto, mi rassegnai all'idea che, quel giorno, il mio migliore amico non sarebbe arrivato e mi sedetti al solito posto. In quella scuola io ero due anni più avanti del previsto, a causa dell'ossessione dei miei genitori per i miei studi e delle scuole in cui mi mandarono di conseguenza. Frequentavo il terzo anno nel corso d'arte in un'Università di Seoul, volendo esaudire il mio desiderio di diventare fotografo.

Tutti aspettavamo l'arrivo del professore e quando, lo vidimo entrare, la classe si alzò per salutarlo.
Una volta seduti tutti, il professore fece cenno a qualcuno fuori dall'uscio di entrare e quest'ultimo fece a sua volta la sua apparizione.

Wow... capelli biondi, non avevo mai visto qui in città un ragazzo con i capelli biondi.

Beh si, ovviamente in giro si vedevano molto spesso ragazzi e ragazze con i capelli colorati ma, quel nostro a quanto pareva nuovo compagno, pareva essere biondo naturale.
Sembrava quasi un... angelo. Si, proprio un angelo.

Quando il ragazzo raggiunse il fianco del professore, quest'ultimo gli disse di presentarsi.
Fu lì, proprio in quell'istante, che sentii per la prima volta quella voce roca e profonda.
«Buongiorno. Mi chiamo Kim Taehyung, ho 23 anni e vengo da Daegu»
Il biondo concluse la sua presentazione con un sorriso quadrato. Sorriso così insolito, ma allo stesso tempo così bello da spiazzare me e tutti i presenti nell'aula.
«D'accordo, ora che abbiamo finito con queste formalità dobbiamo trovarti un posto.» disse il professore, controllando l'aula da cima a fondo per trovare un posto libero.
«Credo che il signorino Park sia assente oggi, quindi puoi sederti vicino al signorino Jeon» furono le parole dell'insegnante.
Dopo che il professor Im informò il nuovo arrivato, quest'ultimo si guardò intorno e, dopo aver trovato ciò che cercava, si diresse verso il posto al mio fianco.

Una volta seduto, si voltò verso di me e, con un sorriso ancora più grande del primo, si inchinò leggermente per salutarmi.
«Piacere, sarò tuo compagno di classe, e suppongo anche di banco, per il seguente anno, spero che la cosa non ti dia fastidio in alcun modo. Come avrai già capito io sono Taehyung, ma puoi chiamarmi Tae, e tu sei?»
«Jungkook» dissi semplicemente. Infondo, che motivo c'era di essere tanto amichevoli?
«Piacere!"»
Eccolo, sta sorridendo di nuovo.

«Sorridi spesso?» chiesi preso da un'improvvisa curiosità.
«Cos-? Ah, si. Sono una persona molto solare e tendo a sorridere tanto, anche a parlare tanto» mi rispose, palesemente felice di aver iniziato una conversazione con me.
«Come mai hai deciso di trasferirti in quest'università? E soprattutto, come mai in questo periodo?» continuai io con le domande, peggio che in un interrogatorio.
«D-diciamo che ho avuto dei 'problemi' con i ragazzi nel vecchio istituto» rispose alle mie domande ancora e ancora, anche se quello volta potei sentire il disagio che provava una volta toccato quell'argomento.
Non potevo crederci, sembrava un così bravo ragazzo, mi era impossibile credere che avesse creato problemi nella vecchia università che frequentava.

«Scusa per le troppe domande, ma volevo chiederti una cosa dall'inizio delle lezioni: i tuoi capelli, sono colorati artificialmente, giusto?» chiesi, dicendo a me stesso che quella sarebbe stata l'ultima domanda.
«No, sono naturali. A detta di mia madre, nella sua famiglia ogni tanto, anche se raramente, capita che qualcuno nasca con questo colore di capelli. Io sono stato uno dei pochi fortunati ad averlo» rispose davvero fiero della risposta.
«Wow... devo ammettere che è davvero molto bello come colore» dissi io, lasciandomi trasportare dal suo entusiasmo.
«Grazie! È una delle cose che amo più di me»
«E dimmi, come ti trovi qui a Seoul?» feci un'altra domanda, maledicendomi per aver contraddetto me stesso.
«Bene direi, anche se sono qui da poco. Ho festeggiato il mio compleanno a Daegu, il 30 dicembre, dopodiché sono partito con mia madre verso questa grande città a me ancora sconosciuta»
«E tuo padre?» forse, quella domanda, non avrei dovuto porla.
«Oh beh, lui ha abbandonato me e mia madre quando ero ancora un bambino» fece spallucce mentre si apprestava rispondere.
In quel momento rimasi scioccato nel vedere come, con tanta semplicità, lui avesse detto una cosa così difficile.
«S-Scusami, mi sento uno stupido. Non volevo essere invadente...» dissi infine, chinando leggermente la testa in segno di scuse.
«Non ti preoccupare, ci sono abituato» rispose con un sorriso, l'ennesimo.

Dopo quelle parole, decisi di non chiedere più nulla e di mettere fine alla discussione e freno alla mia curiosità, almeno per il momento. Non volevo toccare altri argomenti delicati, con il rischio di ferirlo involontariamente.

Le ore passarono, io e Tae parlammo molto durante tutte le lezioni e, per poco, non fummo cacciati fuori dalla professoressa di matematica ma, nonostante quello, mi divertii molto in sua compagnia al punto che, al suono dell'ultima campana, mi sentii triste nel dover lasciare il mio nuovo amico.

«A domani!» Disse praticamente urlando e muovendo ampiamente la mano, mentre si allontanava nella direzione opposta alla mia.
Io feci solamente un cenno discreto con la mano
Certo che questo ragazzo è davvero iperattivo
Pensai fra me e me, sorridendo inconsciamente. Quel ragazzo mi infondeva tanta euforia.
Emozione che però durò poco, almeno fino al mio ingresso a casa mia.

Nell'istante in cui misi piede in quell'abitazione a due piani, i miei genitori mi vennero incontro e mi trascinarono in salotto dove, da lì a poco, vidi iniziare l'interrogatorio quotidiano che io tanto odio ma che, ahimè, dovevo sopportare da quando avevo anni 6, l'età in cui iniziai ad uscire con qualcuno dei miei coetanei.

«Com'è andato il rientro in università? Sei rimasto indietro con qualche lezione? Vuoi che chiami un insegnante privato per farti recuperare?» iniziò ad assillarmi mia mamma, presa da una grande e spropositata agitazione per il mio primo giorno scolastico.
«Madre, tranquilla. È andato tutto bene, non sono rimasto indietro e sono riuscito a fare anche amicizia con un ragazzo nuovo appena arrivato in università. È molto sim-»
«Chi è? Come si chiama? È di questa città? Quanti anni ha? Fuma? Beve? Si droga?» mi interruppe malamente, iniziando a fare altre domande insensate.
«Ti prego, non farmi tutte queste domande. Lo conosco solamente da questa mattina. So che si chiama Kim Taehyung, è di Daegu, ha 23 anni e nulla di più» risposi io in mia difesa.

Appena finii di parlare, mio padre si degnò finalmente di rivolgermi la sua alquanto fredda parola:
«Jeon Jungkook, non fidarti di questo ragazzo. Non sappiamo chi sia, potrebbe essere uno scansafatiche e distrarti solamente dai tuoi studi»
«Ma padre» protestai io «finalmente ho trovato un amico oltre Jimin. Perché non puoi fare uno sforzo e pensare che non sia una cattiva persona, almeno per una volta?»
Anche se non lo davo a vedere, stavo iniziando a perdere la pazienza.
Ogni volta che parlavo con i miei genitori accadevano sempre le stesse cose: mi inculcavano semplicemente il fatto che io mi dovessi concentrare sullo studio; niente divertimento, niente amici. Solo Jimin andava loro bene, ma solamente per un motivo ben preciso che mi innervosisce anche solo pensare.

«Figliolo..» disse mio padre, cercando di interpretare al meglio la parte del padre dolce, che pensa solo al bene del figlio.
«Jimin proviene da una famiglia di alto riconoscimento sociale a Seoul. È stato educato al meglio e stare con lui può essere proficuo per te, per i tuoi studi e per la tua formazione»
«Padre, credi davvero che io sia amico di Jimin solo perché a voi va bene? Io sono amico di Jimin perché è diverso da tutti gli altri, è diverso dal vostro modo e da tutta questa merda in cui mi circondate»
Sbottai irritato.
«Jeon Jungkook, chi ti ha insegnato questi termini?!» mi riprese mia madre, sbattendo entrambe le mani sul tavolo.

Se c'era qualcosa che io odiavo, più di qualsiasi altra cosa in quella casa, era il fatto che mia madre mi trattava ancora come un bambino.
"Non sono più un bambino e so badare a me stesso! So prendere le mie decisioni anche da solo! E adesso decido di andarmene perché mi avete rotto entrambi!» urlai così forte da farmi quasi male alla gola.

E così, feci come detto poco prima: presi le mie cose, poggiate precedentemente al fianco delle scale e salii, lanciando in seguito tutto sul pavimento della mia stanza, che mi affrettai a chiudere a chiave.
Dopo un po' di tempo, qualche ora presumo, riuscii a rilassarmi un po', il giusto per non buttare giù la porta a calci e andarmene da quella casa una volta per tutte. Capii però che non sarei riuscito a calmarmi completamente e che avevo bisogno di sfogarmi con l'unico amico che avevo fin da quando ne avevo ricordo.

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