8. Oscuri riflessi

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Lo specchio mostra un riflesso che non riconosco.

È passato del tempo dall'ultima volta che ho avuto modo di rimirare la mia immagine. Tanto tempo. Durante il viaggio che dal rifugio di Renard mi ha condotta a nord, verso il portale per Ys, sono stati pochi i luoghi civili in cui ho soggiornato, e in nessuno mi sono fermata abbastanza a lungo da concedermi simili vezzi. Contavo un piccolo specchio tra i miei averi, ma è finito nelle tasche del proprietario di una catapecchia in cambio di una notte al riparo del suo fienile. Al campo profughi i bagni comuni erano allestiti giusto con i servizi igienici essenziali per non farci morire per un'improvvisa epidemia.

Ora, invece, ho uno spazio tutto per me all'interno dell'ala del palazzo reale dedicata al personale di servizio. È una zona vicina alle cucine, per cui a quest'ora l'aria comincia a essere già pregna del profumo caldo del cibo. La finestrella della stanza da letto si affaccia su un cortiletto interno, con un porticato sorretto da arcate attorno a una fontanella zampillante. La porta grande della camera dà sul corridoio comune, mentre quella più piccola si apre sul bagno privato.

Ho trascorso l'ultima ora immersa nella vasca in onice venato, con l'acqua fumante che mi arrivava al mento e si raffreddava pian piano. Sono uscita solo quando i polpastrelli erano così raggrinziti da non avere più sensibilità e tutto l'umido e lo sporco erano scivolati via dalla pelle. I sali profumati mi hanno aperto i polmoni.

Gocciolando sulle piastrelle rosa, ho camminato scalza fino alla piccola colonna di vestiti lasciati da Mairead, la ragazzetta cui Bevin aveva chiesto di accompagnarmi nella mia nuova tana. Ne ho scelto uno e, dopo averlo indossato, mi sono rivolta allo specchio.

Sarà anche merito della luce pallida di Ys che filtra dalla finestra, oppure dell'abito, ma il mio aspetto lo ricordavo diverso.

Mi porto una mano al viso. Con un dito, seguo la curva ripida degli zigomi, scendo fino al mento appuntito. Fa uno strano effetto non riconoscersi.

Il mio corpo è fasciato e rimodellato dal vestito di Mairead, tagliato secondo l'assurda foggia che, a quando pare, va di moda a Ys. La gonna, comunque, è abbastanza larga da risultare comoda, anche se troppo lunga per i miei gusti, e la cintura che stringe il corpino in vita è regolabile e mi lascia respirare. Il velluto è morbido sulla pelle, niente a che vedere con il cotone grezzo degli abiti da viaggio che indossavo quando sono arrivata e, mi è stato fatto capire, sono finiti dritti nei raccoglitori d'immondizia del palazzo.

Non mi riconosco. Però non mi dispiace quello che vedo.

Guidata da un istinto infantile, sollevo due lembi dell'abito e faccio la ruota davanti allo specchio.

È un attimo. La scheggia di un ricordo mi colpisce all'improvviso e si conficca nella mia mente. Il passato solleva la sua ala nera a coprire il presente, si impossessa perfino di questo breve attimo privo di pensieri.

Perché non fu un momento tanto diverso quello in cui cominciò tutto.

I padroni avevano organizzato un ricevimento in onore di una famiglia vicina, ricchi proprietari di un deposito di armi con cui era in ballo una trattativa. La festa era stata pensata in grande, da settimane non si lavorava ad altro. Solo gli schiavi più belli ed esperti, però, erano stati impiegati nel servizio in sala. Gli altri avevano ricevuto la serata libera e qualche bottiglia di Cassis da spartirsi.

Io e Lionel lasciammo il dormitorio senza che nessuno si accorgesse della nostra assenza. Erano tutti già ubriachi del vino che loro stessi avevano prodotto, nelle lunghe ore trascorse sotto il sole a pigiare e diraspare acini e a sigillare botti. Noi, invece, con l'alcool ci eravamo bagnati le labbra e la testa ci girava appena.

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