15. Il giardino di cristallo

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L'appuntamento è a mezzanotte all'altare della Dea nel quartiere basso.

"Sei sicura?" continuava a chiedermi Yanna. "Noi possiamo arrangiarci. È quello che abbiamo sempre fatto."

Sono sicura. Lo devo alla mia amica, al suo bambino così piccolo, a me stessa. E anche un po' a Bevin, che in cambio della mia salvezza ha chiesto solo la testa di un Lupo da esporre per la gioia del suo popolo.

L'altare della Dea nel quartiere basso è, in realtà, poco più di un'edicola votiva. La statua di questa strana divinità, né vecchia né giovane, poggia su un basamento di marmo, inquadrata tra due colonne e un frontone. La struttura è ricavata a ridosso della fabbrica del vetro, con le sue fornaci che, anche attraverso lo spesso strato di mattoni del muro esterno, fanno tremare di calore l'atmosfera della notte di Ys.

Mi hanno detto che il fuoco delle fornaci del vetro arde da anni. È stato acceso da un incantesimo e da allora non si è mai spento.

Una goccia di sudore mi cola giù dalla tempia e svanisce nell'oscurità.

Il silenzio è assoluto. Ma no, non è vero silenzio; è un coro di scricchiolii e fruscii, voci lontane e crepitìo di fiamme.

"Sei sicura?" chiedeva Yanna, dopo che io le avevo esposto le mie intenzioni.

"Sì" rispondevo.

No.

La parte più irrazionale di me si è già pentita di non aver ritrattato finché c'era il tempo. È paura quella che mi tiene lo stomaco serrato in un pugno? Non riesco a non provarne nel buio fondo e senza stelle che mi circonda, dove si muovono ombre sconosciute e chiunque potrebbe essere un nemico.

E tu, Lionel? Quanto ci hai messo a perderti, nel posto dove ti hanno portato? Sei più vicino, ora che anche io brancolo nelle tenebre? Forse tra poco la tua mano si poserà sulla mia e le tue labbra chiameranno il mio nome...

"Chani!"

La voce di Yanna mi riporta alla realtà. La mia amica e il suo compagno attraversano la strada e mi raggiungono.

"Scusa il ritardo" farfuglia lei. "Cedric non voleva addormentarsi."

"Nessun problema. Fate strada."

Charlez risponde, nervoso: "Non c'è bisogno di andare molto lontano."

Seguo la coppia attorno all'edicola della Dea. Costeggiamo la parete esterna della fabbrica del vetro attraverso una lunga via che termina sulla bocca di un edificio basso che ha tutta l'aria di essere un vecchio magazzino. La soglia è piantonata da due uomini dai muscoli impressionanti.

"Che cosa volete?" grugnisce quello sulla destra, non appena arriviamo abbastanza vicini.

A parlare è Charlez. "Io e la mia compagna siamo venuti per pagare Arno Farkas."

Come suonano credibili le bugie sulla tua bocca.

Il guardiano fa oscillare i piccoli occhi da loro a me. "E lei?"

"Lei è il pagamento."

L'altro fa un brusco cenno d'assenso e spinge la vecchia porta di ferro che proteggeva con la propria presenza. "Passate."

L'interno dell'edificio è, in effetti, un magazzino vasto, mal rischiarato da alcuni lucernari appesi al soffitto. L'aria e le pareti sono impregnate di un odore pungente che fatico a identificare, ma deve provenire dalle vasche coperte che occupano gran parte dello spazio.

Yanna e Charlez mi guidano fino a una botola mascherata tra le assi del pavimento. La sollevano, rivelando una scala a chiocciola. Uno dietro l'altra, la scendiamo.

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