19. Danzando con le ombre

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"Basta!" Il grido mi esce strozzato mentre per un riflesso involontario mi piego su me stessa e mi accascio a terra. Sotto le dita sento il ciottolato che pavimenta il ninfeo del palazzo reale di Ys, ma è come se fossi ancora una volta nuda su quel pavimento della tenuta di monsieur Bertrand, con il fantasma di Lionel a coprirmi la schiena.

"Mi dispiace" accenna Alec, sopra di me.

Alzo il viso su di lui, che si sfrega nervoso le cicatrici.

Il telepate ha visto quello che ho ricordato.

Ne ho la certezza.

Ha visto e mi ha tenuta inchiodata ai miei ricordi, prigioniera della mia stessa mente, finché non è stato soddisfatto. Ho avvertito la sua presenza invasiva tra i miei pensieri, una forza estranea che ha afferrato le mie memorie, la mia essenza, e ci ha guardato dentro.

"Non ne avevi il diritto" ringhio.

Mai mi era capitato di rivivere il passato con tanta intensità. I cinque anni trascorsi da allora mi sono stati strappati di dosso e io ero di nuovo una quindicenne terrorizzata. Lui era di nuovo con me.

Qualcosa mi punge dietro gli occhi.

Alec tende una mano nella mia direzione. "Ti ho già detto che mi dispiace."

Rifiuto il suo aiuto e faccio forza su un ginocchio per rialzarmi. "Ora capisco" sibilo. "Capisco perché quelli come voi erano perseguitati."

"Attenta a come parli."

Prima di potermi controllare, mi sto allontanando a passo veloce. I miei piedi inciampano su una piccola gradinata, ma recupero l'equilibrio e mi raddrizzo prima di cadere.

"Torna indietro, ragazzina!" mi richiama il telepate.

Lo ignoro. Anzi, comincio a correre. Strappo un orlo di questo scomodo vestito per avere i movimenti più liberi e accelero l'andatura.

Credevo di poterlo fare, ma non è così. Credevo di poter resistere nella città sotto il mare, dove non sorge mai il sole e gli uomini e le donne si baloccano con poteri degni degli dei antichi.

Stupida.

Rientro all'interno del palazzo e mi scontro con una cameriera di passaggio, butto all'aria il suo carico di lenzuola appena lavate. Il profumo di biancheria pulita m'investe. Lei strilla qualcosa che non mi sforzo di comprendere, io balbetto delle scuse. In altre circostanze mi fermerei ad aiutarla a rimediare al mio danno, ma adesso mi precipito senza rallentare nei corridoi del palazzo.

Dirò a Renard che mi aveva sopravvalutata, che non posso essere la persona di cui ha bisogno. Ma non resterò un attimo di più nello stesso luogo dove c'è qualcuno che può fare le cose che fa Alec.

Mi dispiace, Lionel. Troverò un altro modo. Lo troverò, lo giuro.

Il palazzo è animato da una vivace attività e io l'attraverso come una scheggia impazzita. Pochi fanno caso a me e per lo più si limitano ad alzare gli occhi al soffitto. Raggiungo il portone dell'ingresso della servitù senza che nessuno abbia davvero provato a fermarmi.

In fondo l'abbiamo sempre saputo: sono una debole. Preferisco affrontare la milizia schiavista sulle pendici scoscese di Mont Maudit anziché il tuo ricordo nella mia testa. Te lo giuro, però, il tuo spettro mi fa più male di una catena attorno al collo.

La mia mano si allunga per spingere la porta.

"Chani."

Mi paralizzo dove sono, richiamata da questa voce.

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