11. La carezza di una mano incauta

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L'atmosfera di pace sognante che aleggiava sul giardino incantato del re viene infranta da un rumore proveniente dall'interno del palazzo. La nostra conversazione s'interrompe all'improvviso e Bevin ruota con malcelata pigrizia la testa in direzione del porticato.

Un vocìo attutito ci raggiunge.

"Il re ha dato ordine di non essere disturbato" spiega qualcuno, impassibile.

"È un'emergenza!" protesta la voce di Alec, il telepate sfregiato.

"Mi dispiace, capitano O'Darragh."

Davanti a me, Bevin emette un lungo sospiro e si prende la testa tra le mani. "Sono così stanco di tutto questo, Chani" mormora. "Quando ero un bambino diventare re mi sembrava una prospettiva esaltante. La realtà, però, è diversa."

"Forse dovresti andare a sentire che cosa preoccupa Alec."

"Dovrei. Sicuramente." Il re si raddrizza e fa cenno a uno dei camerieri di riempirgli di nuovo il calice di vino. "Dopo, forse. Alec sa caversela benissimo da solo."

La scelta di tenere il telepate lontano da me e dalla mia mente ancora per un po' mi fa tirare un sospiro di sollievo. L'idea che quell'uomo possa immergersi tra i miei pensieri e prenderne ciò che vuole mi spaventa. Ci sono cose, tra i miei ricordi e le speranze, che graffiano come schegge di uno specchio infranto. Una mano incauta potrebbe ferirsi.

Bevin sorseggia il suo vino e continua: "Stasera voglio fare finta di non essere a Ys, nel palazzo reale."

"E dove preferiresti trovarti?" lo incalzo.

"In una foresta. Una vera. Vorrei essere sdraiato sull'erba, alzare lo sguardo e vedere le stelle. E la luna. Ah, la luna!"

Ormai il mio piatto è vuoto. Raschio il fondo col cucchiaio per non lasciare nemmeno una goccia di sugo. "Le foreste di notte sono fredde. E per terra non cresce erba soffice come in questo giardino."

"Ci sei mai stata, tu? In una foresta di notte a guardare la luna e le stelle?"

"Qualche volta."

Il gelo e la fame ci consumavano fino alle ossa. Non avevamo acceso i fuochi per non rivelare la nostra posizione, perché tutto il nostro vantaggio stava nella sorpresa. Alla fine mi arresi e feci quello che facevano tutti, per scaldarsi e non morire: scelsi un paio di occhi buoni, un fisico piacevole, delle labbra che sapevano baciare e sorridere. Ci allontanammo nel folto della foresta, e sotto lo sguardo pietoso degli astri e dei rapaci notturni ci demmo quello che potevamo, un po' di gentilezza e il conforto di un altro corpo umano.

Non c'era lussuria, ma solo il bisogno della vicinanza di qualcuno, di un odore estraneo sulla propria pelle.

Bevin fa quella sua smorfia di nostalgia che lo prende quando pensa alle cose che non ha mai conosciuto. "Il posto più lontano in cui sia mai stato io è il quartiere basso."

"Ieri notte mi sembrava che ti ci muovessi bene, però."

"Per forza. È lì che sono cresciuto. Per un po', almeno."

Silenziosi ed efficienti, i camerieri sparecchiano la zuppa di pesce e le scodelle sporche. La portata successiva, servita su piatti piani di candida porcellana, arriva preceduta da un trionfo di profumi: calamari ripieni di aglio, pomodoro e datteri.

Stavolta il mio stomaco è già abbastanza pieno da permettermi di controllarmi e, prima di avventarmi sul cibo, mi rivolgo al re con sincera curiosità: "Perché il futuro re di Ys avrebbe dovuto essere cresciuto nel quartiere basso? È un'altra delle vostre assurde abitudini?"

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