22. Il silenzio degli antenati

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Per festeggiare il venticinquesimo compleanno di Florian, monsieur Bertrand pagò fior di quattrini una compagnia di artisti perché si esibisse nella tenuta. Quella gente arrivava da est e suscitò grande meraviglia quando si presentò con tre carrozzoni contenenti animali che nessuno di noi aveva mai visto.

Prima dello spettacolo, Julienne e io andammo insieme a spiare la gabbia dei leoni ammaestrati.

La cosa che ricordo meglio è lo sguardo di quelle bestie. Sotto l'apparenza mansueta, ardeva qualcosa di molto simile alla rabbia, alla fame di distruzione.

Non era uno sguardo molto diverso da quello che mi rivolge Bevin in questo momento, nel buio di una stanzina angusta nel Giardino di Cristallo.

Il re di Ys se ne sta rintanato in un cantuccio, la testa appena sollevata sopra le ginocchia. Anche nell'oscurità che regna qui dentro, posso avvertire il suo sguardo bruciarmi addosso.

"Che cosa mi avete fatto?" geme.

Non ho tempo da buttare. Faccio ruotare nel palmo il frammento di vetro che ho raccolto finché non riesco a spingere uno dei lati taglienti contro le corde che mi stringono i polsi. "Arno Farkas ci ha rapiti. Ce l'aveva con me, in realtà, ma a quanto pare grazie al nostro piccolo bisticcio ci sei finito in mezzo pure tu... Merda!" La scheggia mi sfugge e ruzzola tra i fiocchi di polvere del pavimento.

"Non fare finta di non capire."

"Ascolta, ti spiace se ne parliamo fuori?" Mi chino per raccogliere il frammento. Le mie dita incespicano prima di riuscire a riconoscere la sua forma.

"Non le sento più."

"Chi?" domando per istinto. Non ho fatto caso davvero né alla domanda né alla mia risposta. Provo ancora a muovere la scheggia nel palmo in modo da tagliare i legacci che mi stringono, ma ottengo solo un nuovo taglio nella pelle morbida dei polpastrelli. Soffoco un'imprecazione. Qualcosa di caldo cola a rendere scivoloso il pezzo di vetro e per poco non me lo faccio scappare di nuovo.

"Le voci. Non le sento più." C'è della vera angoscia nella voce di Bevin. "Se ne sono andate. E con loro tutto il mio potere."

Alzo di scatto la testa su di lui. Si circonda le gambe con le braccia, l'aria stravolta. Solo ora noto lo smarrimento sul suo viso e, soprattutto, il modo in cui è stato legato. Per il re di Ys non hanno usato un paio di spanne di corda, come hanno fatto con me. I suoi polsi sono immobilizzati da un paio di manette di metallo chiaro che mandano lampi abbaglianti ogni volta che il suo petto è squassato da un sospiro.

Comincio ad avere un'idea. "Il tuo potere?"

"Se n'è andato" mi anticipa Bevin con foga. "Non me ne resta nemmeno una goccia. Mi sono svegliato in catene e, quando ho provato a dare una lezione a quegli avanzi di galera... niente. Non sono riuscito a fare niente. Sono stato sbattuto qui dentro come uno..."

Schiavo.

La parola che non dice aleggia in mezzo a noi.

Me la scrollo di dosso con un movimento nervoso delle spalle. Accenno col mento alle sue manette. "Sono quelle il tuo problema."

"Grazie, me n'ero accorto da solo."

"Non hai capito. Sono più di semplici manette. Sono costruite in una lega di iridio che limita i poteri magici."

Bevin si studia i polsi con orrore. "Non sapevo che esistesse una lega del genere. Qui a Ys nessuno l'ha mai prodotta."

"Monsieur Bertrand aveva degli oggetti simili nella sua collezione privata. Ne andava piuttosto fiero."

"Monsieur Bertrand?"

"Il mio primo padrone."

Colui che ordinò di vendere e marchiare Lionel e non distolse mai lo sguardo mentre lui gridava.

"Ah." Bevin abbassa la fronte e non aggiunge altro. Sembra svuotato di ogni energia. Tutta la furia con cui prima si accaniva su di me è stata risucchiata via insieme ai suoi poteri magici.

Quello che ho davanti adesso non è il re di Ys, e nemmeno lo stregone folle ebbro di energia fuori controllo. È solo un ragazzo spaventato, disgustato da se stesso e dalla propria impotenza.

Impiego pochi secondi per decidere se la sua disperazione possa essere un aiuto o un ulteriore ostacolo. Alla fine mi volto per porgergli il frammento di vetro che stringo tra le dita. "Prendilo e taglia via le mie corde."

"E questo da dove salta fuori?"

"È il genere di cosa che ti compare davanti quando smetti di piangerti addosso e cominci a cercare una soluzione. Avanti, taglia."

Dopo un'esitazione, Bevin si sporge su di me. Avverto il soffio del suo respiro sulla mia schiena, i suoi polpastrelli solleticarmi i palmi mentre raccolgono la scheggia.

Ti prego, mi rivolgo a nemmeno io so bene che divinità, fai che non impazzisca di nuovo e non mi pugnali.

Con un movimento goffo delle braccia legate, lui inizia a tagliare le corde.

Non mi accorgo di aver trattenuto il fiato finché non rilascio un lungo sospiro di sollievo.

"È strano" dice Bevin, dopo un po' di lavorìo silenzioso. "Fin da quando ero bambino, le voci sono sempre state con me. Alec mi aiuta a tenerle sotto controllo, ma nemmeno lui è mai riuscito a farle tacere. Adesso, invece... non mi sono mai sentito così solo."

"Benvenuto nel mondo dei comuni mortali."

"Non mi piace. Come fate a resistere? C'è da impazzirne."

"Pensa un po', tutti gli altri sono convinti che il matto qui sia tu. Perfino Farkas, che ti conosce da cinque minuti."

"Le voci sono ciò che resta delle volontà e delle coscienze della mia ascendenza maschile e della mia discendenza. Quando mi parlano, vedo il circolo infinito di cui faccio parte, riesco a scorgere la ruota dell'eterno divenire. Intuisco il senso della mia vita. Capisco il mio ruolo nel mondo e lo accetto." La voce di Bevin cresce d'intensità e s'incrina. "Ora le voci tacciono, e io mi sento perso nel deserto."

"Pensa a tagliare queste corde. Vedrai che ti sembrerà tutto più bello, quando saremo di nuovo liberi."

Lui non insiste. Percepisco la sua frustrazione negli scatti dei suoi movimenti, ma la ignoro deliberatamente. Mi concentro sulla sensazione delle corde sempre più deboli attorno ai miei polsi.

Mi sfugge un gemito sollevato quando la canapa cede e i legacci precipitano a terra. Sciolgo le braccia indolenzite e mi massaggio la pelle, su cui già si erano formate vesciche da sfregamento.

Bevin mi porge le mani. "Ora tocca a te. Liberami."

Lo osservo e mi limito a riprendermi la scheggia. "Per queste ci vogliono delle chiavi, oppure qualcuno che possa maneggiare un oggetto più appropriato di un pezzo di vetro. Dovrai tenerle ancora per un po'."

Almeno finché non avrò trovato il modo di mettere l'oceano tra me e te.

Lui si adombra e incassa ancora di più il collo tra le spalle. Deve aver deciso di trasformarsi in una palla al piede, ma sempre meglio così che arrabbiato con me.

Mi alzo in piedi e misuro la stanza in cui ci troviamo. Un vecchio ripostiglio, forse, senza finestre né porte diverse da quella attraverso cui siamo entrati. Solo quattro pareti lisce, un soffitto e un pavimento.

Sto ancora valutando il da farsi, quando dei passi si avvicinano alla porta. Una scarica di tensione mi attraversa. Perfino gli occhi spenti di Bevin si illuminano per una frazione di secondo.

Una chiave gira nella serratura. I cardini cigolano.

Le pulsazioni sono tamburi nelle mie vene.

Annullo tutti i pensieri e mi avvento sulla figura che si staglia sulla soglia.

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