52. Ulula alla luna

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Il giorno in cui il mondo precipitò Lionel era stato costretto ad allontanarsi dalla tenuta e Florian era venuto a cercarmi per portarmi nella sua camera.

Le gambe mi erano diventate piombo, perciò Florian dovette un po' spingermi e un po' trascinarmi. Non mi ripresi dallo stato di paralisi in cui ero precipitata finché non udii lo schiocco della porta della sua stanza che si chiudeva alle nostre spalle.

Allora cominciai a tremare.

Eravamo soli, io e lui. Registrai ogni dettaglio presente in cerca di una scappatoia che non c'era. La scrivania, il tagliacarte abbandonato, i libri impilati, la cassettiera semiaperta. Il grande letto che occupava metà dello spazio mi fece annodare lo stomaco dalla paura.

Florian si accorse del terrore che provavo. Mi attirò a sé, una mano a trattenermi per la vita e l'altra che mi solleticava la gola, giocando con il collare. "Di quello schiavo schifoso non avevi paura, mi sembra."

Avevo la bocca secca, la lingua impastata. Provai ad aprire le labbra, ma non ne uscì alcun suono.

Il fiato dell'uomo era caldo di eccitazione contro il mio orecchio. "Forse dovremmo venderlo, che ne dici? Senza più il piccolo miserabile tra i piedi non ci sarebbe nessuno tra di noi."

Odiavo il suo respiro su di me, il suo odore che mi si attaccava addosso e mi restava sulla pelle. "No!" gemetti.

"Allora fai la brava, Chani. Sei così bella!" La presa della sua mano sinistra si rinserrò su di me mentre la destra sollevava l'orlo della mia casacca.

Chiusi gli occhi. Avrei spento anche tutti gli altri sensi, se avessi potuto. Non volevo più percepire il suo odore, l'ansito impaziente, il tocco che mi spogliava con prepotenza e m'invadeva tra le cosce.

All'improvviso Florian s'irrigidì contro di me. Le sue dita s'immobilizzarono. "Cazzo" ringhiò.

Ruotai appena la testa. Con la coda dell'occhio mi accorsi che la porta della camera adesso era aperta e lì, nel riquadro vuoto, se ne stava Lionel. Il suo volto era una maschera di furia bestiale.

Una fitta di vergogna mi pugnalò al cuore. Non avrei voluto che mi vedesse così, mezza nuda e impotente.

"Non ci posso credere" sputò Florian, e mi scaraventò sul letto per rivolgersi a Lionel. "Non dovresti essere qui."

"Il padrone mi ha chiesto di tornare alla tenuta per avvertire che l'incendio è sotto controllo. E, quando non sono riuscito a trovare Chani da nessuna parte, ho capito che c'entravi tu. Sei un vigliacco."

Un ghigno viscido si allargò sul volto di Florian. "Chani mi appartiene. Posso farne quello che mi pare. E adesso vattene, se non vuoi che la sgozzi quando avrò finito con lei."

Fu un attimo.

Un istinto primitivo si accese nella mia mente, prese il comando dei miei muscoli, trasformò il panico e l'umiliazione in qualcosa di peggio. Cattiveria, o desiderio di sopravvivenza. Di rivalsa. Di dignità.

Afferrai il tagliacarte abbandonato sulla scrivania e mi avventai su Florian, che mi dava le spalle e non se l'aspettava. Agii senza alcuna grazia, senza memoria delle lezioni che pure Lionel si sforzava di impartirmi di nascosto per addestrarmi a difendermi con l'uso dei coltelli. Abbrancai il figlio del padrone per le spalle e colpii.

Non avrei mai scordato la sensazione del metallo che affondava nella gola molle.

La facilità con cui la sua pelle si ruppe e il sangue sgorgò in un fiotto prepotente.

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