39. Qualcosa di vero

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L'eco dei passi mi raggiunge prima ancora che le guardie siano visibili nel corridoio della prigione. Tendo le orecchie, in ascolto. Tre persone. Due uomini e una donna.

Arno Farkas sembra sorpreso. Si passa una mano tra gli sporchi capelli rossicci. "È già ora di cena? O hanno deciso di offrire una merenda in più per darti il benvenuto? Ti avviso, il cibo è pessimo. Non so a che cosa sia abituata tu, ma qui si stanno impegnando per raggiungere il primato nella mia personale classifica dei pasti peggiori."

Ma quanto parla? Non rispondo e incasso la testa tra le ginocchia, i muscoli rigidi.

Una porta si apre, si richiude. I passi si fanno sempre più vicini, scendono la breve scala che conduce al sotterraneo.

Il Re degli Accattoni emette quello che sembra un fischio di apprezzamento. Chiunque ci sia dall'altra parte delle sbarre lo ignora e continua a camminare fino a fermarsi davanti alla mia cella.

"Lasciateci" ordina una voce femminile.

"Signora..."

"Per la Dea, sbrigatevi a sparire o vi spedisco fuori a calci."

In risposta giunge un balbettio confuso, poi i passi dei due uomini ripercorrono la strada a ritroso. Corridoio, scale, porta. Si spengono in un rintoccare distante tra i mille rumori che compongono la melodia delle viscere del palazzo reale. Un suono sommesso e costante, come di un lavorio perenne.

Inspiro a fondo e continuo a tenere la testa china.

"Avevo sentito parlare della principessa di Ys" attacca Arno, con un tono esattamente a metà tra strafottente e mellifluo. "Sai quanto pagherebbero sulla superficie, per una come te? Con questi capelli chiari..."

La frase termina in un rantolo strozzato.

Questo sì, mi interessa. Alzo la fronte quel tanto che basta per sbirciare.

Il Re degli Accattoni è crollato sulle ginocchia, le mani alla gola e le guance in fiamme, come se non riuscisse a respirare. Un'aura oscura circonda la sua testa e si fa sempre più opprimente, mentre la temperatura qui dentro cala di diversi gradi. Un brivido mi scuote fin nelle ossa, e non è solo freddo.

Nel corridoio tra le celle, la principessa Morrigan è un'oscura messaggera di morte. È lei a controllare il potere agghiacciante che permea l'aria, senza parole di potere o alcuno sforzo apparente.

Sovrasta Farkas senza preoccuparsi di mascherare il proprio disprezzo. "Se mio marito fosse qui, mi ricorderebbe per l'ennesima volta che i medici hanno consigliato di non usare il mio potere durante la gravidanza. Ma mio marito non è qui, e io sono sicura che i medici esagerano con le raccomandazioni. Quel poco di magia degli spiriti che mi serve per soffocare uno come te non farà certo male al bambino."

Arno emette un gemito rauco, l'occhio strabuzzato e iniettato di sangue.

Le rughe di concentrazione sulla fronte della donna si appianano, la smorfia sulle sue labbra piccole si addolcisce. Così com'è calata su di lui, la mano oscura della magia di Morrigan allenta la stretta su Farkas. Il Re degli Accattoni tossisce e sputacchia, ansima nel tentativo di incamerare più aria possibile, finalmente libero.

"Ma questo mi priverebbe del piacere di vederti impiccare domani" conclude la principessa con un'alzata di spalle. "Per cui fai il bravo, e forse potrai ancora goderti le prossime ventiquattro ore."

Con lentezza deliberata, la donna si volta verso di me. La lunga veste nera che indossa fruscia contro il pavimento, i capelli d'argento mandano un bagliore nella penombra. C'è qualcosa, in lei, che è insieme regale e selvaggio. Deve saperlo, a differenza di suo fratello, perché ogni gesto, ogni dettaglio parla della sua inesorabile sicurezza.

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