CAPITOLO 39 - Il cane

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Laval marciava per i lunghi corridoi del castello

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Laval marciava per i lunghi corridoi del castello. Se non lo conoscesse bene come il palmo della propria mano si sarebbe perso nell'infinità di stanze, sale e androni che lo componevano.

Raggiunse una parte del castello che non visitava quasi mai, ma in qualche modo già la conosceva. Qui c'erano solo tre stanze: due libere e una occupata. Raggiunse le seconda porta e ordinò al capitano di aspettarlo fuori. Poi bussò.

Dopo una decina di secondi si sentì una voce profonda e virile dire: "Avanti." Il capitano aprì lentamente la porta al generale, il quale entrò. Quando il Cavaliere Ombra chiuse la porta, l'oscurità lo avvolse, lasciandolo disorientando per un mero secondo. I suoi occhi analizzarono la stanza: le coperte del letto, le tende, gli armadi, il tappeto sotto ai suoi piedi, tutto era coperto di graffi e artigliate di un'enorme zampa animale. Pure sulle pesanti pietre grigie che componevano il castello si potevano scorgere strisce bianche di artigli che si scontrano con la ruvida superficie. Sembrava come se qualcuno avesse liberato una bestia enorme che soffre di claustrofobia in una piccola stanza. L'aria emanava uno strano odore metallico e acido che forse assomigliava vagamente a formaggio avariato - in ogni caso, era leggermente nauseabondo.

Laval quasi si rammaricò del fatto di essere entrato da solo.

Una voce lo riportò al presente: "Bene, bene, bene, qualcuno è venuto a farmi visita."

Laval guardò verso la direzione dalla quale veniva il profondo suono virile. Finalmente, in mezzo a tutta quella oscurità, scorse una figura dai brillanti occhi azzurri. Era seduta a gambe aperte sull'unica fornitura intera della stanza. I gomiti stavano posati sulle ginocchia, le dita intrecciate nascondevano la bocca dell'uomo. "Non ne ricevo molte. Qual buon, o mal, come preferisci, vento ti porta?"

"Ordini del Lord," rispose veloce Laval. "Ti sta convocando."

"E ha mandato te a chiamarmi?" Laval annuì, cercando di evitare con lo sguardo gli occhi penetranti dell'uomo. "Indentificati."

Il generale sospirò. "Laval, generale delle truppe del castello."

L'uomo nelle ombre rise. "Laval, giusto. Il generale. Mi ricordo del tuo odore." Inalò profondamente, socchiudendo gli occhi. Poi alzò la testa e poggiò il mento sulle mani. "Il Lord ha mandato un pezzo bello grosso."

"L'ultima volta che ha mandato delle guardie a chiamarti non ti sei fatto vivo." rispose brusco Laval, non contento del fatto che Il Lupo non lo considerava fino al punto di non ricordarsi chi fosse.

Il Lupo rise di nuovo. Poi voltò la testa alla sua sinistra, dove stava uno strano mucchio uniforme. "Puoi riprendertele, se vuoi."

Laval lanciò lo sguardo a destra e capì la fonte dello strano odore. Una massa di corpi smembrati e sviscerati stava iniziando a marcire e il sangue inzuppava una parte del tappeto. L'odore del liquido rosso gli inondò le narici facendo brillare involontariamente i suoi occhi. Lo sguardo di Laval incrociò quello di un povero cavaliere, sepolto dai pesanti corpi dei suoi compagni, e il generale, seppur abituato a tale visione, sentì un leggero brivido scendergli giù per la spina dorsale. Sentì come se un ago gli avesse punzecchiato qualcosa nel petto.

"Perché l'hai fatto?" chiese. Spostò lo sguardo sull'uomo e notò che questo lo stava già guardando. O sarebbe meglio dire studiando attentamente.
"Hanno interrotto il mio pranzo." disse semplicemente Il Lupo. "Non disturbare il lupo che mangia. Così si dice a casa mia."
"Non è una scusa per togliere la vita a qualcuno."
"Per me basta e avanza."
"Non ne avevi il diritto." insisté Laval.
"Ne avevo eccome. Mia la camera, mie le regole."
"Stavano solo seguendo gli..."

L'uomo nelle ombre si alzò di scatto facendo indietreggiare Laval di un passo e si avvicinò al generale. La distanza tra loro era ormai quasi nulla. Laval piegò la testa all'insù e guardò Il Lupo negli occhi, i quali splendevano più degli zaffiri più preziosi. Questo aprì la bocca e Laval scorse quattro minacciosi canini: "Prendi il tuo buonsenso e ficcatelo su per il culo. Non so perché, ma hai questo comportamento, questo odore," Il Lupo avvicinò il naso al lato destro della testa del generale e inspirò a pieni polmoni. Poi spostò la bocca sull'orecchio di Laval e, dicendo la seguente frase, gli pizzicò la mandibola con la corta barba: "che mi fa girare estremamente i coglioni. Quindi stammi alla larga, Laval, perché sai, coém teaya icham, coém teaya dobaam (chi cerca guai, li trova)." L'uomo lo guardò un'ultima volta, le iridi dei suoi bellissimi occhi azzurri erano ormai diventate rosse. Si avviò verso la porta e disse in tono superiore: "Manda qualcuno a pulire questo disordine." Poi Laval sentì sbattere la porta. A seguire, il silenzio.

Laval ingoiò il nodo che gli si era formato in gola, si voltò e uscì dalla stanza. "Capitano," disse poi rivolto al Cavaliere ombra che lo stava aspettando fuori sul corridoio con la squadra, "accompagnatemi nell'armeria, poi mandate i ghul in questa camera perché puliscano... il disordine."
"Ha detto ghul, signore?" chiese confuso il capitano. "Se c'è qualcosa da pulire, posso mandare qui i servit-"
"No. Fa come ho detto. Manda i ghul."
"S-sissignore."

Il generale si voltò e, accompagnato dal solito rumore della spada che sbatte contro il cosciale, si avviò verso l'armeria, chiedendosi perché alla vista del Cavaliere ombra morto sotto i suoi compagni una fitta di dolore gli avesse attraversato il petto. Non provare pietà per coloro che non la meritano, gli aveva detto il Lord, soprattutto non per quegli ammassi di carne che chiami Cavalieri ombra. La compassione è debolezza, e io non posso tollerare che uno dei miei migliori guerrieri sia affetto da questa malattia. Capisci, Laval? Provare pietà significa disobbedirmi, e tu non vuoi farlo, nevvero?

No. Non voleva, non doveva disobbedire. Non al Lord, al padrone per il quale lavorava e al quale aveva promesso totale ubbidienza.

Questo è quello che lui ha ordinato.

E lui rispetterà ogni ordine impartito.

Perché così è giusto.

Perché questo è quello che gli ripete la voce della donna nella sua testa.

Ubbidisci.

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