La mia ultima notte prima della ricostruzione della casa la stavo trascorrendo seduta in terrazzo. Erano forse le tre di notte, e solo due ore prima avevamo finito di riempire gli scatoloni per il trasloco temporaneo che avremmo fatto.
Sarei dovuta stare solo un mese fuori da casa mia, senza la mia camera. Semplice, solo trenta giorni.
Non ci sarebbero stati problemi.
Credo.Avevo da sempre avuto un certo debole per le stelle.
Quei tanti piccoli puntini luminosi in grado di regalare pace e serenità a quel tappeto scuro e spoglio, detto cielo. Ero sempre stata convinta del fatto che, senza le stelle, la notte non avrebbe mai avuto la stessa atmosfera magica di cui tutti amavano parlare nei film, nei libri o tra le pagine di diario.
Era spaventoso, ma allo stesso tempo curioso, pensare a quanto le stelle fossero lontane da me.
E poi, proprio come loro, anche noi persone da lontano sembravamo una cosa, ma man che ci si avvicinava, si scopriva che l'immagine che ci eravamo creati, era completamente diversa dalla realtà.
Tutti pensavamo che le stelle fossero solo dei puntini, ed invece, tutto il contrario. Da indifese stelline luminose, si trasformavano in mostruosi giganti corpi celesti.Forse anche noi esseri umani eravamo così. Chi indifeso da lontano, ma forte da vicino, e chi invece che rendeva concreto il detto ''tutto fumo e niente arrosto''.
***
Il segretario di papà era stato gentile a lasciarci uno dei suoi appartamenti, così da poter vivere in città, ma non mi aspettavo che quell'appartamento si trovasse in un misero condominio. Lo zerbino verde sporco di fango, il portone mezzo scassato e le scale polverose.
Ma non esistevano le domestiche?«Questo posto mi fa un po' schifo.» dissi frettolosamente, guardandomi attorno e trascinando la mia grande valigia all'interno del condominio.
Al solo pensiero che mancavano ancora tutti gli scatoloni da portare, mi venne voglia di svenire a terra.
«Forza e coraggio Keira, si tratta solo di un mese.» mia madre mi incoraggiò.
Salimmo le scale e sbuffai quando non notai alcun ascensore. Mi sarei dovuta fare quattro piani ogni giorno per un mese? Avrei preferito un'altra tortura.
Arrivammo poi al famoso quarto piano. Due porte, una di fianco all'altra. Papà si stava dirigendo verso quella a destra, e di fianco notai un portaombrelli abbastanza rovinato e vuoto. Mio padre girò le chiavi nella serratura e poi la grande porta bianca, si aprì.
Una piccola entrata arredata, a mio parere, in modo osceno.
Dei quadri completamente incoerenti tra di loro e poi un mobile, forse una scarpiera, in legno scuro.
Infine, un semplice appendiabiti.
Sopra al mobile, poi, uno specchio di forma ovale.«Carino.» fu l'unica cosa che mio padre disse.
«Già.» mormorò mia madre dietro di me, chiudendo la porta d'entrata.
Noi Kelley eravamo abituati a ben altro. Sapevamo che non ci saremmo trovati di fronte ad un castello, ma nemmeno un bel lampadario? Neanche un mobile in vetro che mostri la fila di argenteria?
Dopodiché ci avviammo per vedere il resto della casa. Lasciammo scarpe e valigie all'entrata, e proseguimmo.
Di fianco all'entrata c'era la cucina.
Una piccola cucina arredata industrialmente. Okay, non era brutta, ma non era il nostro genere.
La cucina possedeva una porta scorrevole in vetro che, una volta varcata, dava ad un salotto di media grandezza. A sinistra un tavolo in vetro con quattro sedie color panna attorno, ed a destra due divani neri in pelle con un tavolo basso ai piedi. Appesa al muro di fronte ai divani, c'era una televisione, anche questa, di media dimensione.
Dietro ad uno dei divani si trovava un arco, che portava ad un lungo corridoio dalle pareti grigie.
Tre porte.
Due nel lato destro ed una nel sinistro.
La prima a destra dava ad una camera da letto matrimoniale, e la seconda ad un'altra stanza singola. Da quest'ultima era possibile raggiungere il terrazzo, praticamente attaccato a quello dei vicini.
L'ultima stanza che rimaneva era il bagno.
Piccolo e mediocre.
Niente di che.«Tutto qui?» chiese mia madre tirando un sorriso e nascondendo il disagio.
«A quanto sembra.» disse mio padre chiudendo la porta del bagno. «Beh, non è così male. No?»
«Già.» dissi stringendo i denti e sforzando un sorriso anche io.
«Andiamo a prendere le valigie.»
«Ora vi raggiungo.» dissi ai miei e loro si avviarono verso l'entrata.
Io entrai nella stanza che sarebbe diventata "mia" per il seguente mese.
Mi aspettavo di peggio, sinceramente.
Un letto da una piazza e mezza, una scrivania in noce, una libreria e due armadi.
Il minimo indispensabile.Mi distesi sul letto e pensai a quanto la mia amata camera mi mancasse.
Ero molto stanca.
Quel giorno avevo faticato molto per il trasloco, e nonostante fosse sabato pomeriggio, non vedevo l'ora di addormentarmi.Chissà cosa avrebbe pensato di me, la gente, quando sarei arrivata a scuola il lunedì successivo.
L'unica cosa che chiedevo per quella casa, era privacy.
Non volevo vicini inopportuni che venivano a suonare per chiedere lo zucchero e non volevo nemmeno le feste nel condominio, altrimenti non sarei mai riuscita a dormire la notte.«Keira! Vieni a prenderti la valigia!» urlò mia madre.
Sbuffai e raggiunsi i miei all'entrata.
Presi la valigia e la trascinai sul parquet, fino ad arrivare in camera mia.
Chiesi, poi, quando sarebbe arrivata la domestica e mio padre mi diede la notizia più brutta tra tutte: la domestica era in malattia per una settimana. Ed io come avrei fatto, da quel momento in poi?
Fu come se qualcuno mi avesse tolto tutte le cose belle della mia vita e se la stesse ridendo.«Ci dobbiamo presentare ai vicini?» chiese mia madre dal corridoio, rivolgendosi a mio padre.
«Assolutamente no!» esclamai raggiungendola. «Perché mai?»
«Cordialità, Keira.» aggiunse papà.
Sospirai e poi mi guardai attorno.
Quella casa sconosciuta non mi piaceva per niente.«Vado a prendere una boccata d'aria.» annunciai, e senza ricevere risposte se non un annuire da parte di mia madre, mi avviai verso il terrazzo.
Il condominio affacciava su un parco, dove un paio di bambini giocavano tranquillamente, senza pensieri e senza problemi.
Che bello essere bambini.«Smettila di seguirmi, Zed!» sentii urlare da una voce maschile proveniente dall'appartamento di fianco al mio.
Perfetto, vicini rumorosi.
Poi ecco che un ragazzo uscì sul suo terrazzo, cacciando via il suo cane.
Perché non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso? Eppure quel ragazzo lo avevo già visto da qualche parte.
Vide i miei occhi ipnotizzati su di lui e finse un colpo di tosse, così io mi ricomposi velocemente.«Siete nuovi?» chiese alzando un po' la voce.
Ero sul punto di rispondere, quando mio padre mi richiamò. Tornai velocemente dentro casa e, chiudendo velocemente la porta, cercai di ricordare dove avevo già visto quel ragazzo.
Occhi neri, capelli color cioccolato, una rondine tatuata sul braccio destro ed un piercing al labbro.
Quel ragazzo io lo avevo già visto da qualche parte, e no, non su una rivista di moda o su Instagram.Andai dai miei genitori e loro mi chiesero cosa volessi per pranzo.
Ordinammo una pizza e mezz'ora dopo eravamo già seduti attorno al tavolo a mangiare.Non riuscivo a togliermi dalla testa quel maledetto ragazzo. Ma perché? Era una normalissima persona, ma perché cercavo in tutti i modi di ricordare dove lo avessi già visto?
Scacciai ogni pensiero, e dopo il pranzo, mi diressi verso il bagno per immergermi nella vasca.
La riempii d'acqua e sapone, formai le bolle e poi misi un po' di musica. Chiusi la porta a chiave ed anche le finestre, dopodiché accesi qualche candela e mi immersi nell'acqua calda della vasca.
Eh sì, un bagno ci voleva proprio.~~~
Buonasera! Penso abbiate capito che tipo di persona sia la nostra Keira, ma non lasciatevi ingannare dalle apparenze! Questo era il primo capitolo e spero vi sia piaciuto. Fatemelo sapere!
Buona serata-Alessia
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Sopra lo stesso tetto | #Wattys2019
Romance[COMPLETA] [EX: "DA SEMPRE VICINI PER CASO"] Nella vita di Keira, tutto le è sempre stato regalato. Una casa di lusso, un cognome importante, due amiche su cui contare sempre ed una scuola ai suoi piedi. Keira possiede Miami e nessuno può mettersi c...