Capitolo 43: Verde dall'invidia

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Con l'indice ripassavo il contorno del piattino in ceramica su cui era riposta una fetta di torta al cioccolato.
Millie stava per concludere la sua telefonata con la madre, e nel frattempo io viaggiavo in un mondo tutto mio. In un mondo in cui non c'erano complicazioni, in cui Vicki non esisteva. Dove Jay ed io non eravamo sommersi dai problemi.

«Scusami, era mia madre» disse riappoggiando il telefono sul tavolo e riportandomi cob i piedi per terra. «Dove eravamo rimaste?»

«Uhm- parlavi del tuo amico Bobby»

«Giusto, Bobby! Dov'ero arrivata? Ah sì! Beh ti dicevo, a me lui piaceva un sacco, tanto che gli sono stata dietro per quasi un anno. Alla fine gli ho chiesto io di uscire, lui ha accettato, e quando stavo sul punto di baciarlo, mi ha rivelato di essere gay»

«Uhh» feci una smorfia, mangiando un boccone di torta. «Come l'hai presa?»

«All'inizio male, ma poi siamo diventati amici. Lo siamo tutt'ora!» sorrise, passandosi una mano tra i capelli biondi. «E invece tu? Ragazzi?»

«Mah...» mi schiarii la voce. «Meglio di no»

«Raccontami tutto!» disse elettrizzata.

Iniziai a raccontarle di Jay, ma quando mi chiese come avessi fatto a conoscerlo, sapevo che avrei aperto una parentesi infinita.
Millie non sapeva del mio ricovero, non sapeva del mio tentato suicidio, non sapeva nulla.
Lei era all'oscuro di tutto, perché quando tutto era accaduto, lei era già a San Francisco.
Non fiatò per tutto il mio lungo discorso. Mi guardava concentrata, leggeva ogni parola che fuoriusciva dalla mia bocca ed ingurgitava lentamente la sua cheesecake ai mirtilli.

«Kiki...» sussurrò con occhi tristi. «Perché io non ne sapevo niente? Hai dovuto affrontare tutto questo da sola!»

«Sono passati quattro anni» scrollai le spalle.

Mi prese la mano e la strinse. «Mi dispiace così tanto. Sono fiera di averti qui di fronte a me!» sorrise.

Contagiò anche il mio di sorriso. «Grazie, il peggio è passato»

Si alzò velocemente e mi fece balzare in piedi. In men che non si dica, mi avvolse tra le sue braccia.
Mi sentii a casa, in mezzo a quei ricci biondi, impregnati da un ottimo profumo alla vaniglia.
Stretta a Millie, non pensavo più a nulla.
Chiusi gli occhi, e per un istante mi dimenticai persino dove fossi.
Immaginai di star riabbracciando Harriet. Di avere mia sorella tra le mie braccia, di avere il suo cuore martellante contro il mio petto.
Poi li riaprii, e capii che non era lei.
Era "solo" Millie, e mia sorella mi era nuovamente riapparsa tra i miei ricordi dolorosi. Harriet non c'era più, dovevo farmene una ragione.

Sentivo di non essermi goduta a pieno l'abbraccio della bionda, quindi quando si staccò da me, la ripresi tra le mie braccia. Era Millie, non Harriet.
Dovevo gustarmi ed accontentarmi del suo abbraccio, non potevo sostituirlo con quello di mia sorella.

«Adesso basta o mi metto a piangere» tirò indietro la testa ed alzò lo sguardo, sventolandosi gli occhi con le mani. «Ora parlami di questo Jay che sembra carino»

Tornammo a sederci entrambe, una di fronte all'altra.

«Jay l'ho conosciuto lì»

«Che carini! Come nei film!» sorrise.

Scoppiai a ridere e mi accorsi di avere gli occhi lucidi.
Pensavo ad Harriet, a quattro anni prima.
Ricominciai a parlare con il sorriso e spiegai a Millie per filo e per segno ogni cosa successa con Jay da quando ci eravamo ri incontrati, quasi un mese prima.
Le parlai del tetto, delle nostre notti sotto le stelle, delle mie sere da ubriaca, salvata successivamente da Jay, dei nostri baci, della pioggia, del piercing, della password del telefono, dello sgabuzzino.
Le raccontai tutto quanto e, quando terminai, sentii una grossa pietra sullo stomaco, sgretolarsi completamente.
Sorrisi soddisfatta di me stessa.
Mi sentivo decisamente più leggera.

Sopra lo stesso tetto | #Wattys2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora