Capitolo 67: Intrufolarsi

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Entrammo in un'enorme sala illuminata da una quantità spropositata di lampadari con varie gemme pendenti. Le pareti spoglie color panna, una cinquantina di tavoli rotondi disposti in maniera apparentemente disordinata.
Ero sicura, però, che fosse stato calcolato ogni centimetro.
Ognuno di loro era ricoperto da una tovaglia bianca che sfiorava a malapena il pavimento in marmo bianco.
C'era un piccolo palco, sul quale era posto un leggio in legno bianco.
Cinque siede dietro.

Al centro della sala, delle tavole apparecchiate impeccabilmente, un cesto di fiori colorati e profumati nel mezzo. Una candela rossa e poi il numero del tavolo.

A noi spettava il numero ventidue.
Dottor Kelley e famiglia, c'era scritto.

La sala era gremita di noti ginecologi, tutti, o quasi, colleghi di mio padre. Al loro fianco le mogli indossavano abiti lunghi ed eleganti, gioielli costosi e sorrisi radiosi. I figli in smoking, le ragazze erano una brutta riproduzione delle madri. Un paio di bambini correvano tra i tavoli, in mezzo ai camerieri vestiti di tutto punto. Con un panno sull'avambraccio e un vassoio ciascuno, sul quale erano presenti dei flûte in cristallo, girovagavano per chiedere agli ospiti se qualcuno gradiva dello champagne.
In un angolo della sala c'era una band jazz che suonava una lieve canzone da sottofondo.

Voltai lo sguardo verso Jay e lo vidi terrorizzato. Forse quell'ambiente non faceva per lui, non ne era abituato.

«Ehy, sei agitato?» sussurrai al suo orecchio.

«Nah!»

Sorrisi e lo presi sotto braccio.
Seguimmo i miei e ci andammo a sedere. Jay, con fare impacciato, mi fece sedere spostandomi la sedia. Volevo ridere, ma non mi sembrava il caso. Mi regalò un dolce sorriso e si sedette di fianco a me.
I miei genitori erano già seduti, intenti a fissarci. Mia madre con un sorriso da ebete stampato in volto, mio padre con un'espressione più severa. Pensai che Jay non gli stesse molto simpatico.

«Dottor Kelley, salve!» disse un uomo sulla cinquantina, avvicinandosi al nostro tavolo ed interrompendo le occhiatacce di mio padre rivolte verso Jay.

«Dottor Morgan, buonasera. Le presento mia moglie, Abbey, e mia figlia Keira. Lui è il suo...un suo amico, Jason.»

«Jay.» lo corressi.

«Jay.» ripetè continuando a sorridere al suo collega.

Dopodiché si persero in qualche chiacchierata a loro riservata.
D'altronde, a me non importava un accidenti delle loro conversazioni da ginecologi.

«Justin, come sta tua madre?»

«Sta...bene, grazie.» sorrise. «È a lavoro, al momento.»

«Rinfrescami la memoria, che cosa fa?»

«La commessa al supermercato.» annuì.

«Ah, capisco. Ti piace la sala? E la musica?»

«È tutto molto bello qui, signora Kelley. E ne approffitto per ringraziarla ancora per l'invito!»

Mia madre rise. «Dammi pure del tu!»

Roteai gli occhi sorridendo lievemente. Vidi Jay in preda al panico, chissà per quale motivo.
Si allargò il colletto della camicia con due dita e poi mi guardò per un istante, rivolgendomi un sorriso talmente breve da non riuscirlo a guardare nemmeno.

Mio padre salutò il collega e tornò a sedersi di fianco a mia madre.

«Allora, carino eh? Jay, bevi champagne?»

«No, signor Kelley.»

«Ottimo, non vorrei mai che mia figlia stesse con un ragazzo che beve, la cui età però è inferiore a quella prestabilita dalla legge.» mio padre rise, battendo una mano sulla tavola.

Sopra lo stesso tetto | #Wattys2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora