Capitolo 66: La lettera

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«Ne sei sicuro?» chiesi a Jay per l'ennesima volta. «Non devi farlo per me, perché sarà tremendamente noioso. È solo una stupida premiazione per il miglior ginecologo di Miami, mio padre è un candidato. Fine.»

«Smettila di stressarmi!» mi sgridò, lanciando una piccola palla da basket all'interno di un cesto appeso sulla porta di camera sua. «Ho detto che verrò, adesso vattene. Tra un'ora dobbiamo uscire.»

«Okay, okay, hai ragione» avanzai verso la finestra. «Quindi ne sei sicuro?»

«Ciao, Keira.» rise sbuffando.

Annuii ed uscii.
Finii in camera mia ed iniziai con i preparativi. Mia madre mi aveva comprato un vestito apposito per quella serata, e me lo aveva fatto trovare sul letto.
Color azzurro pastello, le maniche abbassate sulle spalle.
Terminava all'altezza della metà coscia, ma regalava un'elegantezza davvero elevata, se accompagnato dai giusti accessori e le scarpe corrette.
Difatti, ai piedi del letto, mia madre aveva accuratamente posizionato un paio di tacco dodici bianco, scelto per la serata.

***
In estremo ritardo, come da copione.
La zip del vestito posizionata sulla schiena, si era impegnata a non volersi far chiudere a nessun costo.
Sentivo già i calli ai piedi, i capelli lisciati erano l'unica cosa decente.

«Come sto?» disse una voce alle mie spalle.

Mi voltai verso la porta finestra e vidi Jay. Era appena entrato in camera mia.
La giacca che gli avevo regalato, gli calzava a pennello.
Sembrava esser stata creata apposta per lui, gli stava d'incanto.
Una cravatta nera distesa sulla camicia bianca stirata impeccabilmente.
Dei pantaloni neri eleganti, e poi, eccole lì, le sneakers nere.

«Oh Santo Cielo, assicurati che i miei non ti guardino dalle ginocchia in giù o ti posso anche ritenere morto!» risi, tornando a guardarmi allo specchio per sistemare quella stupida riga d'eyeliner che non ne voleva sapere di non sbavare.

«Che bella che sei.» sorrise, e dallo specchio lo vidi guardarmi il fondoschiena.

«Parli con me o con le mie chiappe?» mi voltai.

«Scusa, dicevi?»

«Idiota.» risi e finii di truccarmi.

Jay si sedette sul mio letto.
Vagò con lo sguardo per tutta la camera e si soffermò con dispiacere sugli scatoloni quasi del tutto pieni.

«Quindi è tutto pronto.» mormorò con un velo di tristezza.

«Jay, già lo sapevi che me ne sarei andata dopo un mese.»

«Sì, sì...lo so, lo so.» sbuffò.

Sorrisi e lui si alzò.
Si posizionò dietro di me e mi chiuse la lampo del vestito senza che glielo chiedessi. Lo ringraziai e sorrisi.
Lui si spostò verso gli scatoloni ed iniziò a ficcanasarci dentro.
Guardò dentro ad uno con fare annoiato, poi si abbassò per prendere qualcosa.

«Che fai?» chiesi voltandomi e spalmandomi meglio il rossetto sulle labbra.

«Cos'è?» chiese con la fronte corrucciata, estraendo una busta di una lettera ed indicandomela.

«Fa' vedere.» gliela strappai di mano e mi sedetti sul letto.

La guardai un paio di secondi, poi la aprii. Dentro c'era un foglio.

«Il giorno dopo il funerale di Harriet.» sussurrai sorridendo.

«Scusa» si sedette di fianco a me. «Non volevo fartelo tornare in mente.»

«Non era di certo tua intenzione.» dissi rimettendo la lettera dentro la busta.

«Posso leggerla? C-cioè se per te non è un problema. Anzi, no. Posso benissimo farmi gli affari miei, hai ragione. Scusami. Mettila via, non voglio invadere la tua privacy.» parlò velocemente.

Sopra lo stesso tetto | #Wattys2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora