«Ti ha avvisato Oliver?» sussurrai.
«Sì» disse Jay, continuando ad inspirare i miei capelli.
Eravamo in quella posizione da circa cinque minuti. La mia schiena premuta contro il suo petto, le sue braccia attorno al mio corpo, io con gli occhi chiusi per tentare di nascondere il pianto, ed il suo viso all'altezza del mio collo. Il tè caldo al limone era pronto, già da un pezzo. Forse tanto caldo non lo era più.
Mi staccai da lui e presi il bicchiere di plastica dalla macchinetta. Non guardai Jay in faccia ed andai a sedermi su una delle sedie. Piegai le gambe all'altezza delle spalle e bevvi il mio tè, abbracciandomi.
Jay mi seguì a ruota e si sedette di fianco a me. Apprezzai il suo silenzio in quel momento, ma le cose belle finiscono sempre.«Vuoi parlarne?»
Gettai nel cestino di fianco a me il ghiaccio ormai non più freddo, e scossi la testa in segno di negazione. Bevvi un sorso di tè e ripetei lo stesso gesto, forse per convincere me, forse per convincere lui...chi lo sa.
«Come vuoi. Sappi che ti ascolto in qualsiasi momento tu voglia»
Annuii e bevvi ancora un paio di sorsi. Jay era venuto di corsa da me.
Si era tolto la giacca ed avevo visto degli aloni di sudore sulla sua T-shirt grigia. Aveva corso per venire da me?
Passò una mano tra i capelli color cioccolato e guardò dinanzi a sè, facendomi presente di quanto il suo profilo fosse perfetto. Possedeva delle labbra rosa abbastanza carnose, come piacevano a me, ed in quel momento le teneva leggermente socchiuse. Il pomo d'Adamo faceva su e giù, gli occhi erano persi in qualche altra dimensione a me sconosciuta. Le ciglia battevano ogni secondo contro le sue guance coperte da uno strato sottile di barba, arrossate per il caldo.
Il naso lievemente all'insù, regalandogli un'aria da bambino, ed i ciuffi dei capelli che ricadevano sulla fronte in piccoli riccioli scuri. La pelle perfetta senza segni di imperfezioni classici dell'adolescenza. Teneva la schiena incurvata verso il basso, le spalle larghe, i gomiti poggiati sulle ginocchia aperte. Le mani si stringevano in un pugno talmente forte, da farmi notare le vene sulle braccia. Sul braccio pulito non era difficile scovarle, ma su quello tatuato era una vera e propria impresa. La pellicola trasparente gli avvolgeva l'arto destro e nascondeva i suoi muscoli. Ricordai di come a tredici anni mi parlava di quanto gli piacesse la box. Forse aveva proseguito con gli allenamenti nel corso degli anni, altrimenti quel fisico non riuscivo a spiegarmelo.«Tua madre è qui?»
«Sì» avrei voluto aggiungere un 'disgraziatamente', ma non lo feci.
«Okay» buttò fuori un sospiro.
«Che ore sono?»
Accese il suo cellulare e lo spense subito dopo. «Mancano dieci minuti alle cinque»
«Aspetta, aspetta» dissi avvicinandomi a lui. «Riaccendilo»
«No»
«Riaccendilo!» gli ordinai.
In sua risposta, infilò il cellulare nella tasca posteriore dei jeans. Mi sorrise compiaciuto.
«Justin Evans, ti ordino di darmi il tuo telefono»
«Non puoi ordinarmi assolutamente niente, Jennifer» mi fece la linguaccia e si alzò.
Non fece in tempo a prendere la sua giacca che già la tenevo sotto braccio.
Mi alzai anche io, buttai la parte restante del tè e sfidai il moro con lo sguardo.«La vuoi?» dissi prendendo la giacca dal colletto.
«Non ti darò il mio telefono» si mise a ridere, infilando le mani nelle tasche dei jeans neri.
«Voglio solamente vedere lo sfondo»
«Cosa che non farai» mi prese in giro, convinto di avere il coltello dalla parte del manico.
«Justin, tu il telefono ed io la giacca»
«Chiamandomi con il mio nome vero non otterrai niente da me» fece un passo nella mia direzione.
«Eppure quella vena sul collo sembra essere sul punto di esplodere» risi, avanzando di un passo anche io verso di lui.
«Jennifer, non fare la bambina»
«Mi chiamo Keira» sottolineai. «Dammi il telefono ed avrai la giacca»
Mi avvicinai ancora a lui, tanto da avere i nostri visi ad un palmo di distanza. Stringevo la sua giacca, fingendo di non volerne odorare il profumo che emanava, e lui se ne stava tranquillo con le mani nelle tasche dei jeans, lasciando quelle posteriori libere. Dovevo fare uno scatto felino e toccargli il sedere, altrimenti non avrei mai preso il telefono.
Lo guardai dritta negli occhi talmente scuri da sembrare un buco nero e, lentamente, allungai il braccio verso di lui. Con molta rapidità gli tastai il gluteo, accorgendomi successivamente di aver scambiato quella tasca per quella corretta.
«Keira, sei una pervertita!» si finse offeso, ma poi scoppiò a ridere.
Tirò fuori il cellulare e me lo mostrò. «Lo vuoi? Eh?»Uno strano coraggio dentro di me mi spinse verso di lui, facendomi lasciare un bacio umido all'angolo della sua bocca. Rimase immobile, giusto in tempo per fregargli il telefono.
Sentii un fuoco ardere dentro di me.
Forse a causa di quel "bacio".
Corsi verso le sedie e sorrisi vincitrice.
Sfoggiai con gioia ed orgoglio il telefono e lui sorrise, tornando a sedersi accanto a me.
Avevo già acceso lo schermo quando sentii la sedia adiacente occuparsi.Sullo sfondo c'era una bellissima foto di Justin Evans e Keira Jennifer Kelley a tredici anni, intenti a giocare a carte sul letto d'ospedale della sottoscritta. Io avevo i capelli biondi raccolti in una treccia morbida adagiata sulla schiena coperta da un pigiama viola a pois bianchi. Jay aveva i capelli scuri lunghi fino a metà collo, una strana maglietta verde con al centro il logo di una band a me sconosciuta.
Ridevamo.Mi scappò una veloce lacrima che non feci in tempo a precedere, che Jay già la stava asciugando. Con le sue labbra.
Quando separò quel contatto, mi voltai verso di lui. Lo guardai dritto negli occhi, gli posai il telefono tra poco gambe e mi sporsi verso di lui. Strinsi le sue guance tra le mie mani e gli lasciai un bacio sulle labbra perfette che possedeva. In un gesto veloce, sentii le sue braccia cingermi i fianchi, intente ad avvicinarmi ancora di più al suo corpo.
Non sembrava soddisfatto di quella distanza, mi voleva più stretta a lui.
Gli occhi chiusi, colmi di pianto.
Le lacrime mi scendevano sulle guance non curanti del momento magico che stavano interrompendo, ed andavano a scontrarsi contro le nostre bocche.
Era un bacio di nostalgia, di tristezza.
Assaporavo il suo sapore annegato dalle lacrime dei miei occhi, e cercavo disperatamente un contatto più profondo con Jay.
Volevo sentirlo più vicino, sempre più vicino a me.
Ancora di più.
Le sue mani calde premute contro i miei fianchi, mentre le mie si erano sciolte attorno al suo collo in un momento precedendo a cui io non avevo prestato attenzione.La mia lingua stava gridando il nome di Jay, e lui aveva saputo riconoscere a pieno quel richiamo.
~~~
Buongiorno buongiorno!
Ma quanto sono brava?? Sono le sei e mezza del mattino e vi sto pubblicando il capitolo...sono bravissima. Questo è uno dei miei capitoli preferiti fino ad ora, spero sia piaciuto anche a voi ❤, sono sicura che mi amerete dopo averlo finito di leggere 😉😉😉
Ora vado a prepararmi, ciao e buona scuola!-Alessia
STAI LEGGENDO
Sopra lo stesso tetto | #Wattys2019
Romance[COMPLETA] [EX: "DA SEMPRE VICINI PER CASO"] Nella vita di Keira, tutto le è sempre stato regalato. Una casa di lusso, un cognome importante, due amiche su cui contare sempre ed una scuola ai suoi piedi. Keira possiede Miami e nessuno può mettersi c...