Capitolo 56: Un'ultima possibilità

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Digitai con forza il numero di Kylie sulla tastiera del telefono.
Era la dodicesima volta che le telefonavo senza ricevere alcuna risposta.

Mi ero risvegliata nel mio letto, anche se non sapevo come ci ero finita là.
Avevo preso un'aspirina, bevuto qualche litro d'acqua e mangiato una banana. Però stavo ancora male.

Portai il telefono all'orecchio ed iniziai a camminare su e giù per la mia camera da letto.
Uno squillo, due squilli, tre squilli.
Segreteria.
Lanciai con forza il telefono sul materasso, ma questo rimbalzò e cadde a terra.
Infilai le mani tra i capelli, li tirai.
Tesi il viso e strinsi gli occhi.
Dovevo per forza andare a casa sua, per poter parlare con Kylie.

Cercai dei vestiti tra gli scatoloni, ormai quasi tutti pieni, quando sentii delle nocche sbattere contro la porta finestra che affacciava sul "mio" terrazzo.
Mi voltai e trovai Jay.

Gli aprii, senza staccargli gli occhi di dosso.
I capelli umidi, segno che fosse da poco uscito dalla doccia, dei vestiti da casa e gli occhi leggermente gonfi.
Un paio di lividi sul viso.
Trattenni il fiato quando mi ritrovai a un palmo di distanza da lui.

Prese subito parola: «Senti Keira, sarò breve: vaffanculo. È finita qualsiasi cosa ci fosse fra noi due, e sta volta per davvero.» tuonò.

«E perché? Sentiamo.» incrociai le braccia al petto.

«Perché? Perc- Sei seria?» rise istericamente. «Hai baciato quel tizio ieri sera!»

«E tu continui a baciare Vicki ogni giorno, davanti ai miei occhi!» urlai. «Non venirmi a fare la morale. Non sei la vittima!»

«E saresti tu, la vittima?»

«Non sviare il discorso! Non puoi chiudere con me, semmai sarò io che adesso chiuderò con te! Avrei dovuto farlo già tempo fa.»

«No, no e no. Sono io che adesso chiudo con te. Ti mollo!»

«Non stiamo insieme!» urlai.

«E menomale!»

«Non ti sopporto davvero più.» dissi a denti stretti.

«Basta, cazzo!» urlò ancora più forte.

Rimasi in silenzio con i denti stretti e il petto che faceva su e giù dalla rabbia.
Infilai le unghie nel mio braccio, mi stavo facendo male.
Lui si ripassò una mano tra i capelli bagnati, mi guardò con tanto odio.
Sentivo il labbro inferiore vibrare, gli occhi pizzicare e le mani tremare.

«Se non hai nient'altro da aggiungere, puoi andartene.» mormorai sottovoce.

«Già, forse dovrei.»

«Già.»

«Allora ciao.» si voltò.

Mi diede le spalle.
Avanzò di due passi e poi tornò a guardarmi dritta negli occhi.
Dritta nel cuore.

«Sai cos'è? È che mi sono trattenuto ieri sera. Se non fosse stato per la stanchezza, l'avrei mandato in ospedale a quel bastardo.»

«Gli hai spaccato il naso, pezzo di idiota. Che altro volevi fare, sentiamo?»

«Sono stato fin troppo gentile. Forse devo smetterla di contenermi così tanto di fronte a questi individui.»

«Oppure potresti semplicemente smetterla di minacciare o picchiare chiunque mi rivolga la parola.»

«Ri-rivolga la parola?» rise. «Ti aveva infilato la lingua in bocca!»

«E con questo?»

«E con questo? E con questo?» ripeté scioccato, ridendo ancora in maniera sarcastica. «Davvero non ci arrivi?»

Sopra lo stesso tetto | #Wattys2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora