Capitolo 28: Forse

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«Jay» sussurro nel cuore della notte.

«Mmh» si lamenta. «Dormi, Key»

«Questa è la penultima notte che passiamo qui»

«Dovresti esserne felice»

«Ho paura»

Sento le sue lenzuola muoversi e dopodiché il peso di Jay si distende accanto a me. Mi spinge un po' per fargli spazio e si sistema sotto la mia coperta.
Poggia la testa sul cuscino e sospira.
Guarda in alto e mi regala la splendida vista del suo profilo.

«Perché hai paura? Stiamo bene, siamo vivi. Siamo sani e salvi, letteralmente» lo sento sorridere.

«Ho paura di tutto ciò che c'è là fuori. Ho paura per quando tornerò a casa, a scuola. Quando rivedrò la mia cameretta, i miei compagni di scuola. Sarà tutto così strano, eppure prima di essere ricoverata, era tutto una stupida routine. Tornerò a casa e per la prima volta mi renderò conto che dormirò da sola, in una stanza troppo grande solo per me. Il letto di Harriet sarà vuoto, e rimarrà tale per sempre. Dormirò da sola. In questi giorni c'eri tu con me, ma quando tornerò a casa, chi ci sarà con me? Chi sveglierò alle due di notte per riempirgli la testa con le mie stupide paranoie?»

«Fosse per me, Key-Key, rimarrei con te tutto il tempo di cui hai bisogno. Però non posso, e forse è meglio così. Devi imparare ad accettare la dolorosa verità. Non sei l'unica a soffrire, i tuoi genitori hanno perso una figlia. Nulla sarà più come prima per tutti e tre. Devi convivere con questo fatto: adesso Harriet non c'è più»

Voglio piangere.
Piangere forte.
Voglio strapparmi i capelli, il cuore.
Voglio non sentirmi dire che Harriet è morta. Harriet non può essere morta.
Non lo accetterò mai.

«Adesso dormi» mi sussurra. «Ti voglio bene, Keira»

«Anche io ti voglio bene, Jay» sorrido tristemente.

«Sei la mia migliore amica, come potresti non volermi bene?» ride.

Rido anche io e poi lo abbraccio forte.
Mi stringe a sé e rimaniamo in questa posizione per almeno cinque minuti.
Dopodiché mi lascia un bacio tra i capelli e se ne torna sul suo letto.
Le infermiere non devono trovarci a dormire insieme.

***
L'aria dell'ospedale mi ricordava tremendamente il periodo del mio ricovero. Le infermiere che correvano da una stanza all'altra, i dottori indaffarati, i pazienti addolorati, i parenti tristi e con poca speranza per i ricoverati. Il rumore di un'ambulanza sempre più vicina, i bambini appena nati che piangevano.
Odore di pulizia, di igiene, di medicinali.

«Eccomi» disse Jay tornando dalla sua telefonata. «Era Jodie»

«Puoi tornare a casa, non ti obbligo a restare qui, tanto tra poco mio papà dovrebbe essere dimesso...»

Si sedette accanto a me. «Ancora dieci minuti»

Sorrise e mi lasciò un candido bacio sulle labbra. Era il quarto che mi dava, senza preavviso, nel giro di venti minuti.
Non sempre ricambiavo il bacio.
Forse troppo triste, forse troppo confusa.
Forse pentita.
Forse non dovevo baciarlo.
Forse avevo commesso un altro dei miei stupidi errori.
Forse dovevo smetterla di giocare con i sentimenti di Jay.

«Keira...» disse mia madre tornando a sedersi accanto a me.

Io e Jay ci eravamo rispostati sulle prime sedie su cui ero stata, quelle più vicine a mio papà e più lontane dalle macchinette.

Sopra lo stesso tetto | #Wattys2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora