Capitolo 7

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«Quindi siete certi di aver visto il nostro obbiettivo».

I due Affiliati che Briya aveva incontrato sulla metro si scambiarono una rapida occhiata, tornando poi a osservare la persona che si trovava davanti a loro, dall'altra parte del tavolo: nessuno dei due riusciva a scorgere il volto, coperto com'era da un cappuccio nero. Benché non riuscissero a vedere i suoi tratti somatici né conoscessero il suo nome, sapevano entrambi che veniva per conto e in nome della Confederazione.

«Sì» rispose poi il più anziano dei due. Dimostrava una quarantina d'anni, aveva i capelli bianchi e l'iride era dello stesso colore, un tratto tipico della sua razza. Intrecciò le dita sul tavolo e nel fare quel gesto le maniche si alzarono un po', rivelando i tatuaggi neri che decoravano l'avambraccio e il dorso della mano.

L'altro più giovane, forse troppo per essere coinvolto in affari come quelli della Mano Scarlatta. Tre anni prima, a soli diciotto anni, si era arruolato nell'equipaggio dell'Olavia, seguendo le orme del padre che gli stava accanto. Gli somigliava nell'aspetto, ma i lineamenti del volto erano molto più dolci.

«Io e mio figlio Julyen ne siamo certi. Non ci sono molti esseri dai capelli blu che possono avere la tuta della Discordia».

«E aveva gli occhi viola. Inoltre, la Discordia era appena atterrata» aggiunse il più giovane con un filo di voce.

Il loro interlocutore aspirò una boccata di fumo dalla sigaretta, scuotendola poi nel posa cenere. «Ottimo, Kaeler. Gli obbiettivi della Mano Scarlatta sono tutti su Kiaphus allora». Ghignò, spostando sul tavolo un foglio su cui erano stampate le foto della Anderz, della Breckett e di Edam. «Se togliete di mezzo questi tre, riuscirete ad arrivare fin dentro il Consiglio. Parecchi membri sono più ben disposti verso di noi che verso la Anderz. Sappiamo che viene spesso in queste zone, che ama scommettere e che va al bar nel Vicolo degli Ulivi, aspettatela pure lì. Non deve riuscire a uscirne viva da lì. I tre affiliati su Kiwei sono stati degli scemi, l'avevano in pugno. A volte mi chiedo se non tradiscano il Patto solo gli incapaci: la Confederazione vi pagherà a peso d'oro se li farete fuori, sono praticamente i capi del Patto».

«Non preoccupatevi» rispose il più anziano, accennando anche a un ghigno poco rassicurante. «Ho fatto parte della squadra di assalto dell'Olavia per anni, so come muovermi».

«Aspetto vostre notizie, ma ci rivedremo quando la Confederazione vorrà. Non fate cazzate» li ammonì alzandosi dallo sgabello e avviandosi verso le scale che portavano all'uscita del seminterrato dove si erano incontrati. Julyen guardò il padre che tamburellava con le dita sul tavolo di plastica, senza togliere gli occhi dal foglio con le tre foto: Kaeler non aveva mai sopportato né Edam né Anderz e in quel momento avrebbe solo voluto avere davanti a sé i cadaveri dei due, ne era certo.

«Figlio».

«Cosa c'è, padre?»

«Devi andare in quel bar ad aspettare la Anderz. Potrebbe trattarsi anche di giorni, ma non riuscirà a non resistere per molto al fascino delle scommesse. Gioca sul tuo fascino, attirala in qualche luogo nascosto. Fottila pure, non me ne frega di chi ti porti a letto. Mi basta trovare il suo cadavere a terra nel tempo più breve possibile. Non sarà facile, non conosco il suo stile di combattimento corpo a corpo, quindi non so darti indicazioni».

«A quello ci penso io».

Il vecchio ghignò. «Hai i lineamenti di tua madre, ma vedo che la mia sete di sangue è passata anche a te».

Julyen abbozzò un sorriso, osservando poi il mozzicone di sigaretta lasciato nel posacenere che ancora fumava. «Qual è il vero obbiettivo della Confederazione?»

«Ma che vuoi che ne sappia io! So solo che pagano - e bene. Non è un partito da lasciarsi sfuggire. Il Patto ci ha segnati a vita - indicò il simbolo sul collo - e pagheranno con la stessa».

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