Capitolo 39

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Vedere il bordo orlato di verde sulla divisa era una cosa a cui Briya non era abituata, ma Damian aveva insistito che anche la Discordia prendesse i colori di Grinda e lei si era ritrovata a cedere. D’altra parte, il sovrano aveva ragione: il Patto ormai non esisteva più, Kiaphus, e soprattutto Sester, erano controllati dalla Mano Scarlatta e non rappresentavano più la loro base, il loro porto sicuro. Quello lo era diventato Grinda, insieme a Xallao, su cui ormai era stata sistemata tutta l’Armonia. 

Le aveva viste, le astronavi: le loro lamiere nere brillavano sotto la luce della Drae, filtrata appena dalla copertura di Xallao.
Passò un dito sul bordino verde della manica, lanciando poi un’occhiata al letto: avrebbe voluto che Laera fosse lì, a rassicurarla che quella era la scelta giusta, che cedere alla Confederazione non avrebbe avuto senso, che continuare la guerra era sensato. 

Ma lei non c’era: si trovava ancora prigioniera su Quater, nella prigione principale della Confederazione. Roys aveva abbozzato un piano - uno sensato, per una volta, stando a Gabije: non sarebbe passato molto tempo prima che il conflitto divampasse di nuovo con violenza in tutta la galassia. 

Damian era deciso a dichiarare in modo ufficiale l’entrata in guerra di Grinda: si sarebbe scrollato di dosso la neutralità che l’aveva sempre salvato davanti agli occhi sognanti e in mezzo agli applausi dei neo diplomati all’accademia - coloro che la guerra l’avevano vista solo sui testi, che non avevamo mai applicato le strategie che gli insegnanti richiedevano di produrre durante le ore degli esami. 

Gli illusi, gli aveva definiti. Se lei era diventata folle, loro erano illusi, solo e soltanto illusi: vedevano un futuro di pace, ma non riuscivano a rendersi conto che l’idea con cui erano cresciuti, cullati dalla pace di Grinda, non era altro che una visione distorta della realtà. 

Anche Re Damian si annoverava tra loro: aveva provato a farglielo capire cosa fosse davvero la guerra, ma lui non l’aveva ascoltata. Sorrideva, scuoteva la testa e cambiava argomento.

In fondo, non era lui che avrebbe rischiato la vita, non in un primo momento per lo meno. Ancora una volta toccava a lei farsi carico delle decisioni che avrebbero messo in pericolo o tratto in salvo tutto l’equipaggio della Discordia - e non solo. Aveva anche la responsabilità di tutti gli altri, delle altre navi dell’Armonia, ancora senza un nome, ancora identificate dal codice costruttivo. 

I cadetti rappresentavano una minima parte degli equipaggi che avrebbero imbarcati, composti da robot. Era quella la nuova frontiera della guerra secondo molti su Xallao: una guerra più informatica e ingegneristica che frontale. 

Ingoiò a vuoto, afferrando poi il cappello e uscendo dalla stanza. 

L’orologio che portava al polso segnava un’ora e una data di un posto troppo distante per poter sapere cosa stava succedendo nei luoghi in cui era nata e cresciuta. Eppure, in quegli stessi istanti, lei si stava avviando a prendere il comando dell’Armonia in modo ufficiale, a dichiarare la sua idea contro la Confederazione. 

Quater avrebbe ricevuto il messaggio in giornata, insieme alla proposta di un trattato: si sarebbe consegnata insieme alla Discordia in cambio della libertà di Laera. Non era sicura che la Breckett l’avrebbe perdonata una volta che sarebbe venuta a sapere che quella non era nient’altro che una mossa per colpire la Confederazione al cuore - almeno per una volta - e sottolineare il fatto che nessun accordo sarebbe stato accettato da Grinda. 

La Discordia non sarebbe mai caduta nelle loro mani. 

Avrebbe preferito esser morta, avrebbe preferito vederla distrutta piuttosto che cederla in quel modo indegno. 

Scosse la testa, scacciando il pensiero di Julyen che le era comparso all’improvviso in mente: per tutti era sollevato dall’incarico per questioni mediche; per lei era un traditore. Non ricordava se qualcuno fosse stato segnato due volte dal segno che dava il nome che gli Affiliati portavano con tanto onore, ma era quasi certa che non era mai successo. 

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