Capitolo 28

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Briya si passò le mani sulla faccia, togliendosi l'acqua dagli occhi e da sfuocati, i contorni divennero di nuovo definiti. Allungò un braccio dietro di sé, raggiungendo dopo qualche tentativo la manopola della doccia e chiudendo il getto d'acqua. Alzò lo sguardo verso il soffione coperto in più punti dal calcare, appoggiando poi la testa al muro: erano riusciti ad arrivare a malapena su Grinda e il terrore di essere catturati dalla Confederazione ancora la attanagliava. Le braccia e le gambe le tremavano, per quanto avesse evitato di pensarci, per quanto avrebbe voluto, nemmeno la nebbia di vapore che si era creata dallo scrosciare dell'acqua calda sul pavimento gelido era riuscita a distrarla.

Scrollò l'acqua dalle ciabatte, afferrando poi l'asciugamano che aveva appoggiato su una barra sul muro opposto rispetto alle docce.

Si appoggiò al bordo della sporgenza che conteneva sei lavandini, sopra i quali si trovavano altrettanti specchi: non era da sola nello spogliatoio, ma quelle presenze - che si riflettevano nello specchio davanti a lei, seppur tagliate dal bordo, e che parlavano tra loro in più lingue - a Briya sembravano distanti. Aveva appoggiato il proprio borsone su una panca il più lontano possibile dagli altri, l'aveva girato in modo che non si leggesse il nome: per la prima volta si vergognava della sua posizione, dell'essere al comando della Discordia.

Si appoggiò con tutto il peso al lavandino, mordendosi l'interno della guancia per trattenersi dal colpire con un pugno lo specchio e sfogare così la sua rabbia.

Sentiva il pad suonare ripetutamente nella tasca laterale della borsa: seppur soffusa, riconosceva la suoneria. Tenendo l'asciugamano con una mano si sedette sulla panchina, rovistando poi all'interno della tasca fino a quando l'altra non trovò il pad. Scorrendo le notifiche, vide che si trattava di quel che si aspettava: erano rapporti di ufficiali riguardo alle condizioni dell'equipaggio, dell'astronave e di tutto quello che era seguito alla battaglia. Briya abbassò lo sguardo, osservando distrattamente il pavimento grigio scuro, pieno di crepe e capelli; scosse la testa, cercando di trovare il coraggio di aprire il file che riportava i nomi dei morti e dei feriti.

Lei ne era uscita illesa da quella battaglia, ma la Discordia no: i danni, senza dubbio, sarebbero stati maggiori di quel che pensava.

Non appena uscì dagli spogliatoi, si ritrovò nel largo corridoio del piano sotterraneo dello spazioporto: a giudicare dal rumore proveniente dal soffitto, doveva trovarsi sotto la pista di decollo. Sistemò il borsone sulla spalla, cercando di evitare lo sguardo di chi incrociava: non aveva mai dato troppo peso alle voci altrui, ma, in quel frangente, il giudizio esterno era la cosa che più le importava.

Sarebbero dovuti restare.

Sarebbero dovuti morire tutti servendo l'ideale per cui avevano sempre combattuto. Come l'Olavia.

Avrebbe voluto richiamare Jareth, ma era certa che qualsiasi contatto fuori da Grinda avrebbe messo in pericolo la Discordia e il pianeta su cui avevano trovato rifugio. La Confederazione non aspettava altro: togliere di mezzo la Discordia avrebbe significato portar via l'ultimo baluardo del Patto.

Strinse entrambe le mani sulla tracolla, iniziando a salire le scale e notando a ogni scalino la luce si faceva più intensa: benché fuori fosse notte, l'interno era illuminato a giorno, segno dell'intensa attività che popolava quell'edificio.

Serrò le labbra, notando in lontananza un gruppo di soldati: indossavano tutti la divisa delle guardie reali - una tuta blu scura aderente al corpo sul cui petto brillava lo stemma di Davian; seppur lontano Briya poteva notare che avevano la stessa pettinatura - capelli rasati ai lati e più lunghi al centro, tenuti legati - e che erano tutti equipaggiati con un fucile di ultima generazione che tenevano dietro la schiena. Si guardavano intorno, poi quando lo sguardo di uno incrociò quello di Briya, l'uomo fece cenno al superiore, indicandola con un dito.

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