48. It hurts my heart

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"Angel, ti devi impegnare un po' di più, così non funzionerà mai" Guardo il Dr. Thompson, che con i suoi occhi verdi cerca di infondermi coraggio e positività.

Mi trattengo dallo sbuffare, non voglio risultare più maleducata di quanto ho già dimostrato di essere la prima volta che si è presentato.

Ritento con l'esercizio che mi ha mostrato, afferro il manubrio in gomma da un chilo e lo tengo ben stretto per fare un giro completo del braccio.

"Brava, così... Adesso portalo giù"

Questi movimenti sono così ridicoli, non capisco come possano migliorare la mia condizione attuale.
In ogni caso, faccio come mi ha detto ma quando provo a far scendere la mano, questa non lo tiene con abbastanza forza e il peso cade a terra, di nuovo.

"Adesso basta, è un'ora che muovo le braccia su e giù, non funziona, non lo vedi?", sbotto fuori di me.

Lo sento sospirare profondamente. "Angel, cosa ti prende?"

Mette via la mia cartellina e si siede accanto a me sul lettino. Non lo guardo, mi faccio più in là e lascio penzolare le gambe, facendole dondolare a un ritmo causale.

"Niente", secco, freddo.

"Balle" Strabuzzo gli occhi per il termine per niente professionale che ha usato.
In effetti è molto giovane, ma mi è parso sin dall'inizio un tipo molto moderato, evidentemente mi sbagliavo.

Continuo a tenere gli occhi bassi, ma sposto le mie mani sulle coscie e osservo il tremolio nervoso delle mie dita.
È una sensazione quasi peggiore del vuoto che ho al posto del cuore.
Un nuovo giorno, una notte insonne in più.

"Sei un eccezione, lo sapevi questo?", dice a un certo punto.

Non rispondo, non mi va.

"La probabilità che una donna potesse venire affetta da questa malattia era pari a una su centomila e poi scoprirla a questa età... di solito si è già in stato vegetativo", la sua nonchalance nel rivelarmi queste informazioni mi fa sentire ancora più sfortunata e maledetta di quanto non mi senta di già.

"Sei proprio uno stronzo", scoppio a ridere istericamente.

Metto i piedi a terra e mi rivesto senza prestare attenzione alle parole di questo buffone che dice di essere un dottore.
Non ho più voglia di stare in questo studio così candidamente bianco. Avrei dovuto chiamare e dire che avevo la febbre, così mi sarei risparmiata questo ulteriore fallimento.
Sali qui, scendi di qua, muovi in su, abbassa in giù, ruota il bacino, tutti esercizi terapeutici di fisioterapia che hanno solo dimostrato quanto grave sia il mio stato.
Faccio per andarmene, ma lui mi blocca.

"Angel!", alza il tono di voce.

Mi fermo sul posto e continuo a dargli le spalle. Non mi interessa l'educazione al momento, non mi interessa proprio nulla.
Mi sembra di essere tornata indietro nel tempo, a una me che non voleva accettare il fatto di avere il Parkinson. Tuttavia, questa volta sembra il doppio peggio.

"Tu sei mia paziente e che tu lo voglia o meno dovrai sopportarmi per molto tempo ancora. Siamo solo al principio e ti assicuro che arriveremo a vederci tutti i giorni. Accettalo e lasciami fare il mio lavoro...ci vediamo lunedì"

Non saluto, esco e sbatto la porta del suo studio dietro di me.

Mi sembra di vedere solo nero, tutta la mia vita assomiglia a una grande presa in giro e più di tutto sono arrabbiata con me stessa. Mi da così fastidio permettere a ogni cosa di abbattermi come se fossi solo un ramoscello secco di una vecchia quercia.
'Reagisci', voce del verbo non ti arrendere. Facile dirlo, no? Ma applicarlo lo è altrettanto?

ANGEL- STAY WITH MEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora