Capitolo 10

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Gli uomini hanno il dono della parola non per nascondere i pensieri ma per nascondere il fatto che non li hanno.
(Soren Kierkegaard)

SHARON'S POV

Mi volto per tornare in camera e quasi non mi prende un colpo. Il bicchiere che avevo tra le mani finisce a terra rompendosi in tanti piccoli pezzi e quelle due pozze blu mi fissano mettendomi a disagio «Scusa mi hai spaventato» mi chino per raccogliere i pezzi e delle grandi e calde mani avvolgono le mie «Alzati» faccio come mi dice e ci ritroviamo a tre centimetri di distanza.

Non riesco a respirare.

«Che ci fai sveglia a quest'ora?» sussurra scandendo bene parola per parola «Oh beh non avevo sonno e così sono stata al telefono con mio fratello» annuisce poco convinto, mi prende per mano e mi porta in salotto.

Ci sediamo sul divano e lui mi fissa insistentemente, d'altronde io faccio lo stesso, e neanche nell'angolo più remoto della mia vita abbasserò lo sguardo, tantomeno se il soggetto in questione è uno stupido ragazzo.

È stata sempre nonna Adelaide con un'altra delle sue cosiddette "nozioni di vita"  a insegnarmi queste piccole, ma fondamentali, cose. I miei genitori certamente mi hanno saputo educare, questo non lo metto in dubbio, eppure nonna Adelaide mi ha reso la donna che sono oggi, le devo molto.

"Lascia amare chi ti ama, ama chi si lascia amare"

Mi ripeteva questa frase all'infinito dall'età dei miei 13 anni tant'è che l'ho memorizzata. Ci fu un periodo in cui i miei mi negarono di vederla, proprio perché aveva, e tuttora ha, molta influenza su di me e io la assecondo in tutto. Già da prima che morisse il nonno mi metteva in guardia sui "cattivi ragazzi" e sono più che convinta che lei abbia avuto degli antecedenti di questo tipo. Magari non con il nonno, chi lo sa.

«Guarda caso anch'io non riuscivo a dormire... Non so ti va di parlare un po'?» mi domanda grattandosi la nuca, sembra molto annoiato «Va bene ma parla tu questa volta... insomma credo che tu come gli altri sappiate tutto sul mio conto, vi manca sapere solo il mio codice postale e il gioco è fatto» sbuffa una risata e lo apprezzo molto perché non mi contraddice.

«Che vuoi che ti dica? Ti presento James Thompson in tutta la sua bellezza!» fa un inchino alzandosi in piedi e subito dopo torna a sedersi «Egocentrico» muove il dito da destra verso sinistra «Ti sbagli piccola Anderson. Realista» inarco un sopracciglio e lo fisso in modo contrariato.

«Ho 24 anni e vado ancora all'università» mi fa un occhiolino e se fossi stata un budino mi sarei già sciolta. Il fatto che lui frequenti l'università è l'unica cosa che conosco per certo.

«Quando si tratta di parlare di te devo dire che sei molto espansivo» «Ah-ah divertente» sbuffa di nuovo.

Odio quando sbuffa.

Lo fa già di continuo sua sorella più ci si mette anche lui... Ammetto di sbuffare anch'io a volte, okay la maggior parte delle volte ma i fratelli Thompson lo fanno come gesto consuetudinario.

Mi domando se anche il padre sia così, con Letitia, la madre, ho passato più tempo e non ha mai sbuffato. Sul serio! Quella donna ha molta pazienza. Il padre, Davis, è un tipo molto socievole e non lo vedo da qualche annetto.

«Posso farti una domanda?» mi azzardo a chiedergli, inconsapevole dalla sua reazione, anche se non siamo molto in tono confidenziale tanto vale provarci, annuisce e sbatte le mani teatralmente «Perché fai il cazzone con tua sorella?» scoppia a ridere ma quando vede che io lo fisso in modo più che serio smette quasi subito.

«Il cazzone?» mi chiede sorridendo «Sì» «Amore ma se volevi vederlo bastava dirmelo» ammicca verso di me «Sono seria idiota. E comunque sarebbe un eufemismo rivolgersi così al tuo compagno di giochi» alza un sopracciglio e mi fissa negli occhi in modo attento e studiato.

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