Capitolo 50

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«Pensaci, d'accordo?»

Annuisco distrattamente a Izzy, che mi guarda preoccupata, e la supero per dirigermi nell'aula di biologia. Lei mi segue e cerca di fare conversazione, ma, come prima, la ignoro. Penso mi abbia chiesto di passare da lei stasera per la nostra solita serata ragazze, ma non ne sono certa.

Non sono proprio in vena di chiacchiere o di vedere qualcuno oggi. Anzi, se non ci fosse stata la riunione del comitato del ballo d'inverno sarei decisamente rimasta sotto le calde coperte del mio letto, a rimuginare sulla mia pessima serata. Invece, sono stata costretta ad alzarmi, prepararmi ed entrare nell'edificio più odiato dagli studenti per destreggiarmi tra i corpi di ottocento iperattivi adolescenti che corrono nei corridoi della scuola come una mandria di pecore allo sbaraglio per raggiungere le proprie aule.

E, se ci mettiamo anche il tremendo mal di testa che mi sta facendo vedere le stelle, come potrebbe essere positivo il mio umore?

Ma perché ho bevuto così tanto?

Entro nell'aula di Biologia e, nel banco davanti al mio, intravedo una testa bionda: ecco il motivo.

Stringendo i libri al petto ed evitando il suo sguardo -che, lo percepisco, è su di me-, mi incammino verso il mio posto. Appoggio i libri sul banco, tiro fuori dall'astuccio le penne, apro il quaderno degli appunti, tutto per evitarlo, tutto per non posare lo sguardo su di lui, perché, lo so, le lacrime scenderebbero dai miei occhi e non posso permettere che accada. Non gli darò anche questa soddisfazione.

Stamattina, quando mi sono svegliata, accanto a me ho trovato le mie migliori amiche.

Dai loro sguardi ho subito capito che c'era qualcosa che non andava e no, non si trattava dei miei occhi gonfi, dell'essermi ubriacata, oppure del trucco sciolto sulle mie guance. No, c'era dell'altro. Ho dovuto costringere a parlare, minacciarle e, solo allora, Maia ha confessato.

All'inizio, non avevo compreso ciò che mi aveva detto, era come se le sue parole non mi fossero arrivate, come se fossero state pronunciate in sanscrito. Poi, però, Izzy le aveva ripetute e, allora, il mio cervello non aveva potuto creare alcun sistema di autodifesa per impedirmi di comprendere. Era stato come una doccia fredda, come un strappo di ceretta prima che il conto alla rovescia fosse finito, come la sensazione di soffocamento che si prova quando si sta troppo sott'acqua e qualcuno continua a tenerti la testa giù.

Era stato con Kylie, aveva il suo rossetto addosso -lo aveva ammesso lui stesso-. Mi aveva dato buca per stare con lei.

Allora tutto il dolore si era trasformato in rabbia. Una rabbia cieca.

Non ho mai desiderato possedere una bambola vudù come in quel momento. Oh, mi sarei divertita a punzecchiarla e fargli sentire tutto il dolore che il suo gesto aveva provocato in me. Eccome se mi sarei divertita.

Ma, adesso, quella rabbia è di nuovo sovrastata dal dolore e da una domanda, che continua a formarsi nella mia testa, che spinge per uscire, sempre più irruenta: perché?

Perché non sei venuto, vorrei chiedergli.

Perché hai preferito raggiungere lei, che me? Perché non sono stata abbastanza per te?

«Signorina Morgenstern, lei sa rispondere?»

Alzo la testa di scatto, risvegliandomi dai miei pensieri.

Il prof mi guarda in attesa di una risposta, così come tutti i miei compagni di corso.

Oh, cavolo, cosa ha chiesto?

«Da cosa sono costituite le proteine», mi sussurra Izzy tossendo subito dopo.

«Sono costituite da amminoacidi, professore», rispondo velocemente.

Città Dei Mondani || Clace (Prima versione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora