Capitolo 55

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POV JACE

•Capitolo 51/52

«Pensavo che con me ti saresti comportato meglio, infondo sono la sorella del tuo migliore amico. Ma neanche questo ti ha fermato. Cos'è, ero la tua nuova sfida? Beh, complimenti, hai vinto! Sei contento? Il tuo ego è appagato?», si sfoga. «Tra noi è finita, Jace, è finita sul serio sta volta. Non voglio più avere nulla a che fare con te, è chiaro?», finisce con gli occhi traboccanti di lacrime.

Provo a ribattere, a dirle che no, diamine, non era una stupida sfida e vorrei sapere chi gli ha messo quest'idiozia in testa. Vorrei dirle che lei è la cosa più bella che mi sia mai capitata, che è solo grazie a lei se ho ricucito il rapporto con mia madre, se ho messo la "testa a posto", come dice mio padre e, soprattutto, se ho capito cosa voglia dire amare qualcuno.

E io la amo. La amo così tanto che vorrei prendermi a pugni da solo per averla fatta soffrire e vorrei fare lo stesso con Kylie per avermi chiamato, ma so che non lo ha fatto con l'intenzione di separarci.

Vorrei dirle questo e molto altro, ma non me lo permette, perché, come apro bocca, mi zittisce.

«È proprio così, invece. Vattene, Jace, per favore», mi supplica.

Un attimo dopo, davanti a me non c'è più lei, bensì soltanto una porta chiusa, come la nostra relazione.

Appoggio una mano e la fronte sul portone e strizzo gli occhi, percependo che si stanno facendo lucidi, più che lucidi.

Avevo trovato la ragazza perfetta. Avevo trovato il mio motivo per alzarmi con il sorriso sul volto la mattina, il combustibile per il mio corpo, la chiave per mettere in moto la mia vita, il pezzo mancante del mio cuore, lo specchio della mia anima, il sorriso che illuminava le mie giornate, la stella che mi guidava nelle notti più buie, la luce che mi permetteva di vedere i colori.

Oggi, però, quella stessa luce è stata portata via da me, spenta dai miei sbagli e dalle mie mancanze, lasciandomi senza guida in un mare in tempesta.

Ironia della sorte, proprio in questo momento la luce del giorno lascia spazio all'oscurità fredda della notte, in un cielo coperto da spesse nubi che non lasciano intravedere neanche una stella.

Mi allontano dalla sua porta e faccio ritorno in macchina. Salgo in auto, in quella stessa auto che ho iniziato ad usare solo per lei. Ricordo ancora come è rimasta a bocca aperta la prima che l'ha vista, in occasione del nostro secondo appuntamento in cui ci recammo al ristorante di mio zio, e come fosse entusiasta di salirvi. Scuoto la testa e mi decido a mettere in moto, iniziando ad allontanarmi da casa sua, come mi ha chiesto.

Ad ogni metro che metto tra lei e me percepisco il filo rosso, quel filo rosso che unisce il nostro destino e i nostri cuori, farsi più teso, provocandomi un dolore continuo al petto. Spero solo che non si spezzi, perché, se lo facesse, non sarebbe soltanto il filo a spezzarsi, ma anche io.

Quando arrivo a casa, ignoro i saluti di mio padre e di Amatis e mi dirigo direttamente al piano di sopra per chiudermi nella mia stanza. Da solo, come merito, a quanto pare.

Ho sempre avuto la sensazione di essere solo, nonostante gli amici, mio padre, Amatis, che, in questi anni, è stata come una madre per me, nonostante il mio letto fosse raramente vuoto e fossi uno dei ragazzi più popolari e desiderati della scuola.

Percepivo sempre un buco in mezzo al petto che tentavo, stupidamente, di riempire portandomi a letto quante più ragazze potessi, usandole soltanto per i miei bisogni, ma mai nessuna c'è riuscita. Fino a quando non è arrivata lei. Lei, con i suoi incredibili occhi verdi, con cui mi fulminava quando la provocavo; con le lentiggini sulle guance, che amavo contare; con le guance piene che amavo far diventare rosse e mi bastava poco, così, dannatamente, poco: un sorriso sghembo, uno sfioramento, uno sguardo; con le labbra, quasi sempre screpolate per il vizio di mordersi il labbro, spesso rosse per il freddo, che mi facevano sentire vivo ogni volta che sfioravano le mie; con le sue mani morbide e così piccole in confronto alle mie, con dei piccoli calletti sui polpastrelli, formatisi per ore passate a stringere pastelli e pennelli, che mi provocavano una piccola scossa quando mi sfioravano; con i suoi capelli rossi, un colore così passionale, vivo, che rappresenta in pieno la sua personalità agguerrita, che amavo arrotolare nelle dita; con l'odore di pelle, un misto di vaniglia e lamponi che mi inebriava ogni volta che l'abbracciarsi.

Città Dei Mondani || Clace (Prima versione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora