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Aurora's pov

Rientro in casa, ho lo stomaco sottosopra, la testa mi gira e sono tutta infreddolita.

Ho un forte dolore ovunque, mi sento spenta ed è una sensazione bruttissima.

Mia madre viene verso di me con espressione preoccupata, cado sulle ginocchia, così mi fa rialzare e mi guarda negli occhi come se avesse davanti a sé un fantasma.

-È morto- dico guardandola negli occhi.

Sto singhiozzando ancora e le lacrime scivolano giù sempre più rapidamente, non ne posso più di tutto ciò, ma che cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo?

-Chi?- sgrana gli occhi cercando di comprendere i miei lamenti.

Tiro su col naso e mi aggrappo a lei per non cadere per terra.

Non ce la faccio nemmeno a reggermi in piedi, sono distrutta.

-Nicolò... Non c'è più, è morto!- esclamo e lei si morde il labbro vedendomi piangere disperatamente.

Inizio a singhiozzare più forte, così mi stringe forte.

Gliene ho parlato di Nicolò, poco e niente, ma le ho spiegato quanto cazzo tengo a lui. Tenevo...

Avverto nuovamente i conati, ma mi trattengo. Mia madre mi fa avvicinare al divano e mi fa sedere, mi siede accanto a me e mi stringe forte al suo petto, ha sempre lo stesso profumo di quando ero piccola.

È stata stronza ed egoista, ma è pur sempre mia madre.

Visto che ormai ci siamo, decido di raccontarle tutto ciò che mi ha fatto mio padre, se può essere definito tale, nello specifico.

Spero di avere almeno le forze per parlare.

Luca's pov

-D'Orso, lui è il dottor Bianchi. È uno psicologo molto bravo, sfogati con lui- mi suggerisce la guardia, ma io sono troppo concentrato a fissare il vuoto.

-Ragazzo, guardami- ordina il dottore.

Alzo lo sguardo e lo poso sull'uomo. Sembra rabbrividire e deglutisce.

-Cos'ha subìto? Sembra ridotto male- espone l'uomo.

Prima che la guardia possa rispondere al posto mio, apro bocca per la prima volta da quando ho messo piede nel reparto dei detenuti psicopatici.

-Ho ucciso un mio amico, con un incidente, uno scontro che per lui è stato fatale- le mie iridi si riempiono di lacrime e mi ritornano in mente quelle scene che per qualche minuto avevo archiviato.

-Sono un mostro, cazzo- sbotto.

Faccio per alzarmi dalla sedia, ma la guardia mi blocca, così con le poche forze che ho ritorno a guardare lo psicologo.

-No, figliolo. Non lo sei affatto. Semplicemente non hai avuto l'opportunità di crescere in maniere affettuosa, hai avuto alti e bassi nella tua vita. Più bassi che alti, dico bene?- mi domanda.

-Faccio così tanto schifo che si nota? Cazzo- mi prendo la testa tra le mani e inizio a singhiozzare.

-No, non fai schifo, ragazzo. Guardami- mi ordina nuovamente, così lo sto a sentire.

Ho la vista appannata a causa delle lacrime.

-Ho ancora quella scena impressa nella mente, vedo ancora il mio amico disteso a terra, in un lago di sangue. Mi hanno persino denunciato per il tentato omicidio della mia ragazza, ma quelle foto sono state ritoccate, non le torcerei mai un capello, perché io...- tiro su col naso e sento l'ultimo pezzetto del mio cuore sgretolarsi.

-Io la amo, sono innamorato di lei e quando uscirò da questo cazzo di posto, glielo urlerò in faccia, ad arrivare a tal punto di diventare sordo, non mi importa. La cosa più importante della mia vita ora è lei- guardo l'uomo davanti a me che si scambia degli sguardi complici e dispiaciuti con la guardia carceriera.

-Luca, giusto?- mi chiede ed io annuisco tirando su col naso.

-Bene, hai fatto un piccolo passo avanti parlando di queste cose molto importanti per te. Adesso devi solo stare tranquillo e se non riesci ti prescrivo dei tranquillanti e dei sonniferi, d'accordo?- mi domanda scarabocchiando la sua firma su un foglio.

Scuoto la testa.

-No, non prendo nessuna medicina. La mia unica medicina è lei, è soltanto lei, cazzo. Perché nessuno mi capisce?- piango più forte di prima.

Scatto in piedi e scaravento la lampada contro il muro, la guardia mi afferra per i polsi e cerca di tenermi fermo, ma io sono più forte, riesco a liberarmi dalla presa e grido, grido tenendo la testa tra le mani.

Le lacrime sono peggio di lame taglienti che solcano il mio viso.

-Lei per me è tutto ed io sono qui a soffrire, a stare male- cammino avanti e dietro.

-Sto impazzendo, sento di star diventando matto. Il peso del dolore è troppo forte e mi soffoca il petto, mi opprime il respiro, io non ce la faccio- sbotto camminando avanti e dietro, mi sento male e avverto l'aria mancare.

Non riesco a smettere di piangere.

Prendo il vasetto della pianta e la scaravento contro il muro.

Mi accascio a terra, afferro la testa tra le mani e mi ribello urlando, sembro un matto di prima categoria ma non mi importa minimamente.

Gli errori verranno corretti.

ORMAI//CAPO PLAZA Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora