SESSANTA

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"Non sarà troppo scollato?" chiedo, sistemandomi il vestito.

"Ti sta benissimo, dai, non preoccuparti" cerca di tranquillizzarmi Nathan, con un sorriso divertito sulla faccia. Più io sono in paranoia, più lui se la ride sotto i baffi. Stronzo.

"E se non le piaccio?"

"Ooh, ma quanti problemi! Ti ho detto che andrà tutto bene, su"

"Uffa, che ansia"

Nell'ultimo periodo che ansia sta a diventando un mantra perenne. Erano più le volte in cui ripetevo questa frase che altro.

Capendo la mia situazione, Nathan era venuto nel pomeriggio a casa mia, per darmi una mano. Lo avevo assillato per tre ore per scegliere il vestito che avrei messo, per poi optare per quello del nostro primo appuntamento. Il problema di Nathan riguardo alla scelta dei vestiti era semplice: secondo lui mi stava bene tutto. Il problema era che io non volevo sapere se mi stava bene tutto, io volevo sapere quale cosa mi stesse meglio. Ma d'altronde il genere maschile non si era mai distinto per particolare intelligenza. Da esperta di televisione e di nerdaggine, sapevo che gli unici veri maschi intelligenti erano quelli malvagi e quelli che di lavoro volevano fare gli scienziati. Un giudizio, come al solito, da persona matura e per niente prevenuta.

Respiro profondamente, prima che la soglia della casa di Nathan si spalanchi. Appena la porta si apre, il mio sguardo si incrocia con un paio di occhioni blu, contornati da una pettinatura ricciola e gonfia. La donna che mi si presenta davanti è di statura media, di corporatura esile, e con un sorriso amabile sulle labbra dipinte di rosso. I tratti somatici sono quasi uguali a quelli di Mason. Nathan invece possedeva tratti molto piu affilati, ma l'intensità di sguardo sembrava essere la stessa.

"Ciao! Tu devi essere Eleonore"

Sguaino un sorriso a trentadue denti, che sono sicura assomigli più ad una smorfia di una povera bestia in agonia che altro.

"Buonasera signora Bennet, molto piacere"

Faccio per tenderle la mano, ma lei mi avvolge in un abbraccio delicato. Sul momento la cosa mi sorprende, per cui rimango impalata, senza sapere che cosa fare.
Dopo secondi che a me sembrano anni, l'abbraccio si scioglie, e la madre di Nathan mi osserva con un sorriso orgoglioso.

"Che bella che sei"

Arrossisco violentemente.

"Grazie mille" riesco solo a dire. Che imbarazzo, santo cielo.

Per essere una donna che ha subito delle violenze, devo dire che la signora Bennet è in gran forma. Le occhiaie stanche e gli acciacchi le si leggono da sotto al trucco, ma piano piano sta rifiorendo.

Mi fa accomodare, conducendomi fino alla cucina, dove trovo anche Mason, ai fornelli. È quasi tutto pronto, e Mason sta tagliando i sottaceti per quello che credo sia l'antipasto.

"Ehi El, ciao!" mi saluta, mantenendo la concentrazione sul suo compito.

"Accomodati cara, tra poco sarà pronto" mi dice la signora Bennet, gentile.

Io e Nathan ci accomodiamo a tavola, apparecchiata alla perfezione, e la cena comincia senza troppi fronzoli. La signora Bennet ha cucinato mezza fauna del New Jersey per questa cena: costolette alla salsa barbecue, alette di pollo, formaggio grigliato e chi più ne ha più ne metta.

È una donna molto affabile, per cui riesco ad intessere con lei una conversazione senza troppa fatica. Per tutta la sera andiamo avanti a parlare: io le racconto un po' di me e della mia falsa vita, non proprio falsa. Alla fine ho solo cambiato i nomi di alcune istituzioni, tutto qui.
Lei mi racconta dei suoi figli, di cosa combinavano da piccoli, di come Nathan aveva rubato il cane al vicino e di altre cose divertenti che solo un genitore può sapere dei propri figli.

La cena passa piacevolmente, e pieni come ad un pranzo di Natale, arriviamo al caffé. Devo dire che mi aspettavo una cena molto più imbarazzante, invece la signora Bennet sembra dolcissima.

La felicità però è un momento di pausa tra un proiettile e l'altro. La signora Bennet mi sta raccontando delle scuole elementari di Nathan e Mason, quando sentiamo battere alla porta bruscamente.
L'espressione di Nathan si indurisce di colpo. Mason sembra stare sull'attenti, mentre alla signora Bennet sembrano tremare le mani.

"Scusate" dice lei, alzandosi per andare ad aprire.

"No, stai lì, vado io" tuona Nathan.

"Nathan.."

Lupin non sembra neanche starla a sentire e va ad aprire la porta. Sento la voce ubriaca e malmessa di suo padre da qui. Accidenti.

"Vado a dargli una mano" dice Mason, raggiungendo il fratello.

Questa cena si sta trasformando in un dramma familiare in cui io non dovrei essere presente.

"Ragazzi, aspettate!" dice la signora Bennet, mettendosi una mano sulla bocca.

"Ci pensiamo noi, lei stia qui e non si preoccupi, ok? Torniamo presto" dico, prendendogli le mani e provando a tranquillizzarla. Sta tremando come una foglia. So che vorrebbe andare ad aiutare i suoi figli, ma purtroppo peggiorerebbe solo la situazione.

Raggiungo Nathan e Mason e non faccio in tempo a sentire la fine della discussione che vedo il pugno di Nathan raggiungere la faccia del padre.

Si susseguono una serie di immagini che in cuor mio sapevo di aver già vissuto: Nathan ha lo sguardo infuocato, e sono convinta che se potesse avrebbe messo le mani al collo del vecchio. Il signor Bennet puzza di alcool da fare schifo e immagino abbia cercato di entrare. Cerco di mettermi in mezzo, finché non riesco a far riprendere il ragazzo e a staccarlo.
L'uomo è conciato male, e prima che chiunque possa raggiungere il cellulare per chiamare la polizia, sparisce, infilandosi nella sua auto e andandosene, imprecando.

"Non finisce qui!" gracchia, sparendo nelle strade di Badminster. Ubriaco e conciato così al volante.

Riporto Nathan in casa con l'aiuto di Mason.

Seguono minuti di eterno silenzio, in cui rimbomba solo il suono dei pensieri dei presenti. L'orologio aveva appena suonato le dieci, e la serata era stata trasformata da una conoscenza formale ad una conoscenza intima e torbida in uno dei peggiori modi possibili.

A WHITE HAIR SECRETDove le storie prendono vita. Scoprilo ora