SESSANTASETTE

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Reel

Apro gli occhi di scatto e in un primo momento non vedo quasi nulla. È tutto estremamente sfocato e mi sembra di non riconoscere alcuna forma. Sento un sacco di voci intorno a me, ma non riesco a differenziarle. Non so dove mi trovo e ho un sacco di immagini confuse che mi frullano in testa.

Cerco di sollevare il capo, ma appena lo faccio avverto una fitta al collo. Mi tiro su a fatica e riesco a mettermi seduta, ma appena lo faccio una fitta al ventre mi fa gemere.

"Oh dio, è sveglia!" sento dire da un uomo sulla quarantina, con gli occhiali e la giacca nera.

"Reel, ehi, guardami... Chiamate un dottore!" dice l'uomo, accarezzandomi una mano.

Cerco di capire chi sia, ma nonostante mi sforzi, non mi viene in mente nulla. Niente di niente.

"Chi.. Chi sei?" chiedo, con un filo di voce.

L'uomo sembra congelarsi all'improvviso. Di fianco a lui c'è un ragazzo moro, giovane e dall'aspetto stanco.

"Reel,non ti ricordi?"

Dei signori vestiti di bianco entrano nella stanza e allontanano l'uomo, dicendo varie cose su fatto che se ne sarebbero occupati loro.

In poco tempo vengo sommersa da domande, visitata e subito dopo mi viene spiegato l'accaduto da quello che penso sia il dottore a capo del reparto.

Mi hanno sparato. Sono rimasta in coma per 68 ore di fila. Mi chiamo Reel Payn e ho diciotto anni. Per ora sono le sole cose che mi hanno detto.

I medici escono dalla mia camera e fanno rientrare i due individui lasciati fuori poco prima. Dalle loro espressioni corrose dalla fatica comprendo che devono aver passato molto tempo qui, aspettando il mio risveglio. Eppure io non mi ricordo di loro. Non mi ricordo come si chiamano o chi siano.

"So che non ti ricordi di noi ora Reel, per cui faremo le cose piano piano... Io sono Scott e sono il tuo patrigno adottivo"

"Patrigno adottivo?" ripeto.

"Si. Ti ho adottato molto tempo fa"

"E i miei genitori?"

"Non è importante ora. Sappi solo che vivi con me e ti ho cresciuto io. Lui invece è Nathan"

Osservo il ragazzo e mi sembra che abbia gli occhi più lucidi e arrossati di prima.

"Hai pianto?" chiedo, spontaneamente.

"No" mi dice lui, anche se non so perché mi sembra mi stia mentendo.

"Hai pianto per colpa mia?" chiedo, imperterrita.

Il ragazzo mi osserva, e scoppia in una piccola risata.

"Sei appena uscita dal coma e ti preoccupi del fatto che io pianga?"

Ha un sorriso davvero bello. Non so perché ma sento una sensazione calda nel petto.

"Scott...Nathan.." ripeto, sfregandomi il mento. Ho delle emozioni collegate a questi nomi, eppure non riesco a ricordarne il motivo.

I due passano ore e ore insieme a me, raccontandomi del più e del meno e narrandomi cose su di me che non sapevo. I racconti vertono su cose abbastanza strane, come quella volta che ho sputato i popcorn in soggiorno oppure quella volta che ho picchiato uno dei giocatori di football della scuola.
Ero una persona davvero così strana?

I racconti terminano verso sera, quando mi ritrovo esausta e chiedo gentilmente di essere lasciata sola per schiacciare un pisolino. È stata una giornata dura. Se è vero che la notte porta consiglio, mi conviene dormire. Ne ho un gran bisogno.

A WHITE HAIR SECRETDove le storie prendono vita. Scoprilo ora