14. Il freddo del mio inverno

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- Bene, possiamo andare! - esclamai allegra, saltellando incontro al caporale.

Egli iniziò ad osservare gli oggetti nelle mie mani.  -Che cosa devi farci, con tutta quella roba? - domandò sorpreso.

Dopo il pranzo, io e il capitano ci eravamo divisi. Egli era tornato nella sua stanza, mentre io ero rimasta nel refettorio a risistemare i miei disegni, aggiungendovi, annoiata, qualche dettaglio. 

Circa un paio d'ore più tardi, il capitano mi raggiunse nuovamente nella mensa, con abiti informali. 

Esordì: - Har... Claire - si corresse. - Credo che ti stia annoiando anche tu e qui non c'è niente di fuori posto o che necessiti di pulizie... magari vorresti fare una passeggiata nei dintorni. Hai mai perlustrato i giardini circostanti della base?

Rimasi del tutto basita da quella proposta, che in parte trovai addirittura surreale. 

- Io non credo proprio, capitano - ribattei. 

Anche lui mi sembrò sempre più imbarazzato, forse perché per nulla abituato a proporre una passeggiata ad una persona quasi sconosciuta. Distoglieva lo sguardo da me, per poi continuare. -Io ho deciso di fare un giro. Se vuoi raggiungermi, mi troverai all'esterno. 

Ancora paralizzata, mi smossi e gli chiesi di attendere qualche istante, perché potessi anche io sbarazzarmi dell'imbracatura, oltre che della futile divisa. 

Certamente non si aspettava di vedermi tornare da lui con la chitarra nella mano sinistra e il blocco da disegno nella destra.

-Possono sempre servire - spiegai, sorridendogli. 

Iniziammo a incamminarci lontano dalla Base e ripensai alla Caposquadra Hanji e ai miei allegri compagni. -Capitano, ha idea di quando gli altri torneranno? Non vedo l'ora di svelare ai miei amici di essere resuscitata.

-Non so che dirti. Dovresti chiederlo a Erwin. È rimasto nel suo ufficio a occuparsi di tutte le faccende burocratiche che gli spettano - camminava a passo lento, osservando la vegetazione davanti a sé. Più avanzavamo, più proseguivamo verso un boschetto profumato di fragole (o almeno fu quello l'odore che mi ricordò, nonostante quasi mai avessi avuto l'occasione di saggiare quel frutto estivo, che raramente cresceva tra le mura, in cui regnava un clima prevalentemente rigido); era un posto insolito, che poche volte avevo colto l'occasione di visitare a causa dei numerosi compiti e delle esercitazioni da svolgere in ben altri luoghi.

Ad un tratto, il caporale distolse lo sguardo dal bosco, volgendo i suoi occhi sulla mia chitarra.

-Sei molto attaccata a questo pezzo di legno, o sbaglio? - chiese lui ad un certo punto, riprendendo la discussione.

Ci pensai qualche attimo, osservando lo strumento. –Già. Lo considero un membro della mia famiglia, l'unico che ha potuto seguirmi fin qui per ricordarmi mia madre - sospirai, indecisa se parlargli del ricordo tragico che poche ore prima la mia mente aveva rievocato in sogno. Invece, ripensai alle ultime interazioni avute con lui nel corso di quella tragica ritirata, in cui non avevo mancato di dimostrare quanto fossi facilmente incline a perdere il controllo per via di un insulso temporale.  -Capitano, mi dispiace di averle risposto male l'altro giorno, durante la ritirata.

-Parli della pioggia? - chiese, levando un granello di polvere depositato sulla sua giacca blu scuro, che, non potei fare a meno di notare, gli calzava in maniera teneramente quanto eccessivamente grande, il che mi indusse a credere che quel capo doveva essere precedentemente appartenuto a qualcun altro... 

-Esatto - proseguii. -È buffo a dirsi, ma è un tipo di clima che ho sempre sofferto. Specialmente dal giorno in cui mia madre è morta – chiusi gli occhi, respirando profondamente. –Sotto la pioggia, in una pozza di sangue, massacrata dal pugnale di uno di quei balordi che l'hanno ammazzata.

Le Ali della Libertà: Cronache di una recluta del Corpo di RicercaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora