15. Due anime smarrite in una boccia per pesci

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Mi sentii colpevole, perché, nonostante egli avesse deciso di liberarsi dei suoi pesi proprio con me, io non potevo ricambiare in alcuna maniera. 

Mia madre, l'unica persona di mia conoscenza che sapeva cavarsela in qualunque situazione, semplicemente non avrebbe mosso un dito, lasciando che il tempo facesse il suo corso.
E così, decisi, avrei agito anche io: Levi e io, malgrado quei momenti di intimità avremmo continuato ad essere semplicemente il caporale maggiore e il suo sottoposto, che di tanto in tanto si trovavano a chiacchierare nel poco tempo libero della loro vita da soldati.

Ah, mamma, come vorrei che tu fossi qui, implorai nella mia testa, limitandomi a canticchiare proseguendo sulle corde; d'un tratto, tuttavia, le mie orecchie percepirono il debolissimo suono del motivo musicale del ritornello, che tuttavia non proveniva dalla mia chitarra o dalle mie corde vocali.

Dava tutta l'aria di essere una voce maschile, poco percepibile, quasi del tutto inudibile, proveniente dai pressi del piccolo lago.

Il mio cuore accelerò ai mille battiti al minuto.
Si trattava della voce del capitano, che smise di produrre una sola nota non appena si era reso conto che anche le mie dita avevano interrotto la loro danza sulla tastiera dello strumento.

Regnò un sereno, dolce silenzio per qualche attimo, in cui entrambi potemmo ascoltare, seppur a distanze diverse, il frequente cinguettio dei passeri e degli uccellini nelle vicinanze. Era ridicolo, al contempo spaventoso, rendersi conto che quelli in gabbia, quelli che incessantemente cercavamo una via d'uscita come pesci in una boccia eravamo noi, mentre loro erano liberi di volare, di raggiungere qualsiasi lato del mondo con un semplice battito d'ali.

Poi ripresi la melodia, mentre lui, in lontananza, proseguiva la sua passeggiata; poco dopo, mi voltai per capire se si trovasse ancora nei paraggi, e vidi che, ancora una volta, si era seduto sulle sponde del laghetto e pensieroso osservava l'acqua davanti a sé.

Il sole stava per tramontare, per cui decisi di alzarmi, di raggiungerlo alla riva del lago, sul quale pelo dell'acqua scivolava una simpatica anatra.

Aprii il mio blocco, impugnai la matita, studiando bene l'anatomia dell'animale, e, molto velocemente, rappresentai il volatile su un foglio, intento a schiudere le proprie ali.

-E' qui da molto? – chiesi, ripiegata sul blocco.

-Intendi me o l'anatra?
Ridacchiai. –Direi tutti e due.

Intenta a rappresentare le ombre e le rifiniture delle acque del laghetto, intervenni: -Sono felice che lei mi abbia proposto di passeggiare nei dintorni, qui si sta molto bene. Magari dovrei portarci anche Petra, qualche volta. Come ha fatto lei con me.

Mi volsi verso di lui. Guardò un po' sorpreso il mio volto per qualche istante, ma non mi rispose. I miei occhi si focalizzarono nuovamente sul mio umile disegno, poi ricordai di aver portato con me il messaggio che Petra mi aveva scritto quella mattina. Lo presi da una tasca, rileggendolo, sorrisi a quel semplice pezzo di carta.

-Si nota molto che quella ragazza ti voglia molto bene.

I miei occhi si inumidirono, mentre annuivo. –Penso proprio di sì. Credo che la mia vita non avrebbe più senso, se lei dovesse morire così presto come hanno fatto i nostri compagni l'altro giorno. 

Seguirono attimi di silenzio, interrotti dalla sua voce. - Lei ha scelto di essere un soldato, come te. Dovresti smetterla di preoccuparti di lei così incessantemente. 

Quelle parole mi ferirono, forse perché, in fondo, sapevo quanto corrispondessero al vero. Eppure, dopotutto, dovevo a Petra la mia vita. Per la sua premura, la sua gentilezza...

Le Ali della Libertà: Cronache di una recluta del Corpo di RicercaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora