Golden Starship - 1

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Miriam e Spike giunsero all'ingresso del parcheggio privato delle astronavi dell'Hotel Solaria. La ragazza prese le chiavi, pronta ad aprire la porta d'acciaio. In quel momento si chiese del perché l'albergo non fosse fornito di chiavi elettroniche, invece di mantenere quelle fisiche. 

"Ma che sto pensando..." si disse, inserendo la chiave argentata nella toppa. 

Iniziò a piovere. Un innocuo temporale estivo, ma decisamente inaspettato. La porta si aprì.

- Appena in tempo - commentò lei, entrando nel grande parcheggio. 

Il pavimento era completamente in cemento, il soffitto alto e piatto ospitava dei tubi al neon. Alcune colonne squadrate delimitavano i posti per le astronavi. Non ce n'erano molte oltre la Magma IX, giusto un paio poste sul lato destro del parcheggio. L'astronave di Miriam splendeva debolmente, ferma in un posto sulla sinistra, vicino alla grande uscita verso la pista esterna, che in quel momento era ovviamente chiusa.

Miriam si avviò verso quello che le sembrava essere un miraggio. 

- Perché Magma IX? - chiese Spike, seguendola appena dietro. 

- Suonava bene - rispose lei, mettendo a posto le chiavi dell'albergo e prendendo quelle dell'astronave. Appena le inserì, tre piccoli gradini dorati apparirono e lo sportello si aprì. 

"Sono a casa."

La ragazza si avviò immediatamente verso il piccolo bagno, in cerca del kit medico. Abbandonò la camicia lacera e sporca di sangue nel lavandino. Ebbe un attimo anche per guardarsi allo specchio: vide il canovaccio macchiato di rosso stretto sul suo braccio e il viso evidentemente scosso. Le sembrava di essere di fronte ad una sorta di demone proveniente dall'aldilà, oppure ad una giovane naufraga sopravvissuta per miracolo ad uno tsunami. Il sapore di vomito era ancora persistente, perciò risciacquò la bocca più volte con acqua fresca, nel tentativo di farlo andare via.

Spike scrutò attentamente la cabina di comando, fissando il sedile dorato ed il manubrio appena davanti. Uno schermo svettava a destra e l'altro a sinistra dei pannelli di controllo, entrambi spenti. Poi si mosse verso lo stretto corridoio, in cerca di Miriam. 

Lei riapparve dal bagno, senza camicia addosso e con il medi-kit stretto sotto il braccio destro. 

- Sai mettere dei punti di sutura? - gli chiese, fissandolo. 

Spike stava per risponderle, quando la guardò in tutta la sua interezza. Gli occhi della ragazza erano grandi e vispi, probabilmente a causa di tutta l'adrenalina di quella sera. I capelli castani erano attaccati al collo di lei, la pelle del viso brillava, imperlata di sudore. Sentiva il suo respiro veloce, vide la cassa toracica che si alzava e abbassava. 

Si disincantò velocemente, annuendo. Lei rimase immobile per qualche secondo, come se volesse dire qualcosa; poi sembrò cambiare idea, entrando nella propria camera. Si lasciò cadere sulla piccola branda, appoggiando accanto a sé il kit. 

- Bisogna disinfettarla prima - disse lei, mentre Spike apriva la scatola bianca in plastica. 

- Credo di ricordarmi come si fa - rispose il ragazzo, infilandosi un paio di guanti e prendendo tra le mani una fiala di disinfettante.

Lei gli lanciò un'occhiata fugace, per poi girarsi dall'altro lato. Sentì il canovaccio allentarsi dal braccio ed il sangue ricominciò a sgorgare, ma più lentamente. Quel rudimentale laccio emostatico aveva fatto il suo lavoro. Spike lo appoggiò sulle proprie ginocchia, per poi iniziare a medicare la cacciatrice.

Miriam cercò di distrarsi dal grande bruciore. Provò a pensare a qualcos'altro: al fatto che avesse compiuto un'azione buona e cattiva contemporaneamente, che fosse scappata via da una scena del crimine con un ricercato, che avesse effettivamente rischiato di morire inutilmente.

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