I get along without you very well - 2

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Stava correndo verso Ganimede per andare incontro al suo passato. Faceva più male di quanto si fosse mai immaginata.

Dopo precisamente due ore riuscì ad arrivare a casa, smentendo quindi le previsioni del computer di bordo.

Miriam sentiva il sangue pulsare all'altezza delle tempie, insopportabile. Non era capace di formulare un pensiero logico: un'enorme quantità di informazioni la stava letteralmente sommergendo. 

Era arrivato il momento della verità: avrebbe conosciuto suo padre. Non era lei ad averlo trovato, era lui ad essere apparso come per magia. Una famelica rabbia bruciava nello stomaco della ragazza, dandole un leggero senso di nausea.

E poi, la nonna. Soprattutto la nonna.

Mentre atterrava nel retro del giardino di casa sua, su una rudimentale pedana di legno scuro e ghiaia grigio chiaro, i cespugli di rose di Kamila venivano torturati dallo spostamento d'aria della Magma IX. I fiori bianchi vennero scaraventati a terra, creando sul suolo un macabro tappeto di petali.

Miriam spense con violenza i motori e si gettò fuori dalla cabina, saltando i tre gradini dorati  e rischiando di slogarsi entrambe le caviglie. Si mise a correre verso la porta-finestra che dava sul salotto, convinta che fosse rimasta socchiusa per lasciarla entrare.

Non si sbagliava.

Il braccio sinistro iniziò a bruciare, come se stesse andando a fuoco. Sembrava che, invece di sangue, nelle sue vene stesse scorrendo la benzina. I punti tiravano, esasperati.

Una serie di imprecazioni lasciarono la bocca della cacciatrice, che spalancò l'entrata con la mano destra, facendo scorrere la grande lastra di vetro davanti a sé.

Entrò in casa e si guardò intorno, notando che sembrava deserta. Le luci erano spente, ma Miriam sapeva esattamente come muoversi.

La madre la dovette sentire.

- Miriam, siamo in camera di nonna -

Ma lei questo già lo immaginava. Anzi, lo sapeva. 

La cosa che più le urtava era quella prima persona plurale usata dalla madre. Il "noi" era stato riservato unicamente al gruppo formato con lei e con la nonna. Il fatto che qualcuno si fosse appropriato di un posto nella loro cerchia fece quasi impazzire Miriam.

"Stai calma" si disse, mentre le unghie della mano destra si ficcavano con violenza nel palmo. I denti tremavano, così come le gambe.

Attraversò il lungo corridoio dalle pareti color panna e le sembrò di sfilare verso il patibolo. Notò che tutti i quadri erano stati rimossi, ma sentiva comunque gli occhi dei ritratti posarsi su di lei, come se un'immaginaria e diabolica folla la stesse fissando. 

In fondo a sinistra, la luce di una abat jour risplendeva con debolezza. Sentiva dei respiri affannosi farle da guida verso la stanza. Miriam fu scossa dai brividi.

- É qui? - gracchiò nonna Amanda, girando di scatto la testa verso la porta. Miriam avanzò, fermandosi sull'uscio.

La figura esile della nonna sembrava come risucchiata dal grande letto verde ed i cuscini attorno a lei sembravano intatti, come se nessuno si fosse appoggiato su di loro. La bocca di Amanda si stirò in un largo sorriso, tanto che Miriam temette che la sottile pelle si stesse per spaccare.

Accanto a lei, seduti uno accanto all'altra, Kamila ed un uomo. La madre aveva il labbro inferiore ormai tumefatto dai morsi, ma lei non sembrava curarsene affatto. Teneva le mani strette in grembo, come se stesse custodendo un oggetto di inestimabile valore all'interno. I capelli neri erano raccolti in una bassa crocchia, con molte ciocche crespe che sfuggivano alla presa dell'elastico. Furono i suoi occhi a spaventare a morte Miriam: erano puntati su di lei, ma la stava guardando in modo strano. Come se quella che stesse osservando non fosse sua figlia, ma una specie di ologramma.

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