Almost Blue

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1° settembre 2066.

Il ramen era a dir poco bollente, ma non faceva altro che recare piacere alla gola indolenzita di Miriam. Un acquazzone estivo si era abbattuto su Trez, Marte, e la temperatura sembrava essersi abbassata di colpo. 

C'era solo lei in tutto il primo piano del Food's Heaven. Nessun vecchio seduto a leggere il giornale, nessuna coppia intenta ad imboccarsi coi ravioli al vapore. Solo lei, con indosso solo una larga felpa nera e le gambe accavallate sotto al tavolino di legno grezzo. Le sedie in plastica sembravano essere diventate più comode: qualcuno dello staff aveva aggiunto dei sottili cuscini di stoffa alle sedute. 

Aveva visto il servizio al telegiornale della sera prima. Non era stata avvisata della propria apparizione e, per qualche motivo, non riusciva a sentirsi orgogliosa delle sue gesta. Aveva fissato la fotografia che la ritraeva con distacco, senza riconoscersi. Ovviamente era lei, ma non lo era. Sembrava lontana, con uno sguardo impassibile. 

Si ricordava del poliziotto con cui aveva parlato: era interessato alle sue tecniche di Jeet Kune Do. L'aveva vista immobilizzare l'ultimo, il ventesimo criminale (Ikiko Nori), in una grande piazza affollata. I passanti non se n'erano accorti, ma ci avevano pensato le urla di Ikiko ad allarmarli. Qualcuno di loro, i giovanotti più aitanti, erano accorsi per aiutare il criminale: aveva l'aspetto di un uomo di mezz'età piuttosto mingherlino, quasi rachitico, e con lo sguardo vuoto. Era alto quanto Miriam, ma la forza di lei era a dir poco superiore. Nonostante avesse perso del peso, i suoi muscoli continuavano a svolgere il proprio mestiere.

Fortunatamente il poliziotto aveva riconosciuto la figura di Ikiko ed aveva rassicurato i ragazzi urlando loro di allontanarsi, perché quell'uomo era ricercato dalla legge. Ormai la folla nella piazza si era sparpagliata: chi riprendeva con i propri telefoni, chi se la dava a gambe, chi si nascondeva nel negozio più vicino. 

Miriam ricordava l'odore sgradevole e pungente che fuoriusciva dai pori della pelle di quell'uomo: sudava paura, ma anche rassegnazione. Non poteva più scappare.

- Oggi hai la fortuna di avere la sala tutta per te, Miriam - 

Grace avanzò, senza nessun vassoio in mano. Si appiattì il piccolo grembiule bianco sul ventre e prese posto al tavolo della ragazza. Fuori dalle vetrate scendeva copiosa la pioggia. 

La giovane cacciatrice di taglie stirò la bocca in un sorriso sottile. Le si addiceva poco, dato che appiattiva le labbra carnose. 

- Ti ricordavo sin da quel giorno, quando hai mangiato con Spike. Ovviamente ho scoperto il tuo nome dal telegiornale, sei diventata una specie di giustiziera, una paladina -

I capelli biondi e ricci di Grace erano immobili, ma l'espressione sul suo viso rivelava altro: il sorriso era smagliante e due fossette erano apparse ai lati delle guance. Miriam la guardò per qualche secondo senza replicare, sentendo riecheggiare in testa l'ultima parola pronunciata, "paladina". 

Era come se qualcuno avesse preso il suo storico soprannome da adolescente e l'avesse portato in un'altra dimensione più reale, così cruda da farsi estranea. Lei che aveva iniziato con quel mestiere quasi per gioco, pur sempre seguendo il suo senso di giustizia, stava lentamente perdendo il focus sulla faccenda. Era sempre stata fiera di quel nomignolo... ma non riusciva più ad esserlo in quel momento. Le sembrava stonare in bocca ai giornalisti televisivi, mentre emetteva un suono più melodioso quando lo pronunciavano i suoi compagni di classe o la sua famiglia. Sentiva il suo significato come deturpato. 

"Giustiziera"

Sospirò.

- Eri con Spike perché volevi catturarlo? - 

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