Cry me a river - 2

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13 agosto 2066, notte.

Su Marte, Spike Spiegel si allenava nella grande palestra sotterranea del covo della Red Dragon. Era solo, sferrava rabbiosi pugni contro il sacco da boxe rosso.

Vicious era diventato più strano del solito: non gli rivolgeva più la parola. Sembrava completamente assorbito dai pensieri. Spike si trovava a disagio accanto a lui, come se l'amicizia che provava nei suoi confronti fosse lentamente sparita col passare dei giorni.

"Non mi interessa diventare il nuovo Mao" gli ripeteva sempre, ma il ragazzo dai capelli argentati non replicava mai.

"Non ci crede... non mi crede!" pensò Spike, colpendo il sacco più forte, sferrando un potente calcio con la gamba sinistra. Il sacco si sbilanciò pericolosamente, per poi riassestarsi alla sua posizione originaria.

La palestra era deserta. Le pareti di marmo nero si elevavano per una ventina di metri verso l'alto e dal soffitto pendevano tre grandi lampadari rettangolari, rilasciando una luce bianca sull'ambiente sottostante.

Il pavimento era interamente coperto da tappetini di gomma, sottili, che attutivano i passi di Spike mentre ci camminava sopra.

Aveva abbandonato il sacco per avviarsi verso una parete laterale e sedersi su una grande panca di legno. Sentiva il sudore scendere sulla schiena nuda, mentre il respiro si regolarizzava piano piano. Aveva esagerato con gli allenamenti quella notte, forse per cercare di reprimere quel senso di rabbia e incomprensione che aveva dentro.

Nonostante le ore passate a prendere a calci e a pugni il sacco, quelle sensazioni non lo avevano lasciato.

Neanche Julia gli aveva creduto quando le aveva parlato di Vicious. Non sembrava preoccuparsi così tanto del problema; preferiva fargli domande sulla sparatoria del Farewell Blues, cercando di capire chi fosse la ragazza che lo aveva aiutato.

Spike non aveva ceduto, anche se avrebbe potuto benissimo svelare la sua identità. Pensava che non fosse giusto mettere nei guai una persona che gli aveva salvato la vita e gli aveva dato un rifugio sicuro, anche se solo per una notte.

Julia, dopo un paio di giorni, aveva mollato la presa. Si era rassegnata ed era tornata ad essere la solita amica di un tempo. Si parlavano con regolarità, scambiandosi pareri sui piani futuri della Red Dragon Crime Syndicate.

Il ragazzo si stropicciò gli occhi, con grande insistenza. Il sonno stava bussando alle porte del suo cervello e pretendeva di essere ascoltato. Spike si alzò, pronto a ritornare alla sua camera.

- Che coincidenza trovarti qui - sentì dire dal lato opposto della palestra.

Si girò, notando che Vicious camminava verso di lui. Non sembrava avere armi con sé, il suo corpo era avvolto da una morbida tuta grigia, con una maglietta a maniche corte. Aveva uno sguardo vuoto, privo di emozioni, mentre le braccia rimanevano penzolanti lungo i fianchi.

Spike si fermò, girandosi completamente verso di lui. Incrociò le braccia.

- Hai intenzione di smettere con questa farsa? - gli chiese Spike, con un tono di voce serio, profondo, sincero. Desiderava che Vicious tornasse ad essere come una volta: silenzioso, ma non chiuso totalmente in se stesso; riservato, ma capace di ridere di stupide battute e becero black humor; solitario, ma in grado di fare gioco di squadra con i suoi compagni più fidati.

Non c'era più traccia di quel Vicious, mentre lui continuava ad avvicinarsi a Spike. Si arrestò solo quando fu a pochi metri di distanza da Spiegel, puntando le sue pupille direttamente in quelle del ragazzo.

- Siamo due facce della stessa medaglia, Spike - gli spiegò il compagno, scostando con le dita una ciocca di capelli grigi dal volto.

- Non hai intenzione di smettere - replicò lui, sospirando. Doveva provarci, doveva tentare di farlo ragionare.

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