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Quel giorno ero un fascio di nervi, una bomba in procinto di esplodere da un momento all'altro e di distruggere completamente tutto ciò che mi circondava

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Quel giorno ero un fascio di nervi, una bomba in procinto di esplodere da un momento all'altro e di distruggere completamente tutto ciò che mi circondava.

L'ansia, che stavo covando sotto la superficie della mia pelle, non faceva altro che divorarmi dall'interno, creandomi una voragine all'altezza del petto che non riuscivo a colmare.

Stavo provando con tutta me stessa a calmarmi ma, questa semplice azione, mi risultava impossibile da compiere.

Tra poche ore avrei compiuto i miei 17 anni stellari e sarei stata costretta a compiere il rito di risveglio di Khione, se il piano che io ed Aedyon avevamo in mente non sarebbe andato a buon fine.

Avrei dovuto tentare la sorte, affidare ciò che avevo di più prezioso al mondo ovvero la mia stessa vita a Rodh, sperando che mantenesse la sua parola, e sperare di non morire quello stesso giorno, prima di poter assaporare la mia vita eterna ed immortale.

Ero ancora indecisa se fidarmi o meno della divinità, ma, se i nostri piani fossero andati in malora, non avrei potuto fare altro che assecondarlo e cercare di mantenere il patto che avevamo sancito tempo a dietro.

Ero spaventata.

Ero terribilmente spaventata.

Non vedevo l'ora che calasse il sole e che io il principe mettessimo in atto il piano di evasione che avevamo architettato.

Sfortunatamente per me, le divinità in questo periodo mi stavano col fiato sul collo e avevo gli occhi di tutti puntati addosso, dunque, tentare di uscire dal palazzo reale senza dover sembrare dei fuggitivi non era un'opzione contemplata e possibile da mettere in atto.

Anche se non volevano darlo a vedere, ero costantemente sorvegliata da guardie che, anche se a debita distanza, mi osservavano.

Se ne accorse Aedyon quando, un giorno che siamo andati in giardino, le guardie ci hanno quasi vietato di uscire dal palazzo affermando che fosse "troppo pericoloso" per me e, quando il Principe aveva insistito dando loro l'ordine di lasciarci passare, loro ci avevano seguiti, provando a non dare nell'occhio.

A quanto pare, gli Dei sospettavano davvero che io fossi così tanto pazza da scappare e, di certo, non potevo negare che avessero ragione.

Avrei provato in tutti i modi ad evadere quel giorno per evitare brutti scherzi da parte loro.

Le sorprese non mi erano mai piaciute e, ancor meno, se venivano dalle divinità.

«Calmati hipnôse.» bisbigliò al mio orecchio Aedyon, tentando di non farsi sentire dai suoi familiari presenti a quel pranzo. «Se continui così, tutti si accorgeranno del tuo stato d'animo e avranno ancora più sospetti sul nostro piano di evasione. Non dobbiamo dare nell'occhio, ricordalo.»

Mi voltai a guardarlo, incrociando i suoi occhi grigi e profondi e non potevo non dargli ragione.

Era da quando mi ero seduta su quella sedia che stavo sbattendo il piede di continuo sul pavimento levigato e lucidato, provocando un rumore decisamente fastidioso che i Semidei presenti a tavola non avrebbero sicuramente apprezzato.

HIPNÔSE  "Il sangue della dea"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora