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Bussai alla porta della sala in cui, ad attandermi, c'era la persona che mi aveva convocata con così tanta urgenza quel pomeriggio

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Bussai alla porta della sala in cui, ad attandermi, c'era la persona che mi aveva convocata con così tanta urgenza quel pomeriggio.

Non mi avevano detto di chi si trattasse, ma potevo benissimo dedurre che non si trattasse dei sovrani dei Semidei, visto che loro ricevevano solo ed esclusivamente nella sala del trono, seduti comodamente sulle loro grandi sedie dorate in modo da ostentare la loro posizione sociale all'interno della gerarchia.

Arricciai il naso.

Odiavo tutte quelle cerimonie semplicemente per dover parlare con qualcuno, in un determinato momento della giornata.

Tuttavia, chiunque fosse dietro quella porta, non era certamente un tipo da ostentare la sua classe sociale e lo deducevo dal fatto che eravamo in una semplice e comune stanza dove le signore Semidee prendevano il thè o conversavano tranquillamente nelle tarde ore del pomeriggio, spettegolando su chissà quale povero malcapitato.

«Vieni avanti.» disse una voce appartenente ad un uomo e, in quel momento, capii perfettamente di chi si trattava.

Li guardi, che erano poste ai lati della doppia porta in legno, aprirono l'ingresso che mi avrebbe consentito di entrare in quella stanza.

Mi guardavano tutte con aria sospetta ma con profonda ammirazione.

Ormai, era di dominio pubblico la notizia che io ero umana destinata a divenire un'Eterna, un essere superiore persino agli Dei stessi, proprio come la tanto adorata e venerata Dea Suprema Khione.

Facendomi un rapido inchino di rispetto, sì riposizionarono nuovamente ai lati della doppia e pesante porta ed attesero che io varcassi la soglia per poter chiudere nuovamente le porte.

Lanciai loro un'ultima occhiata e feci qualche passo in avanti, sentendo il venticello e il rumore della chiusura della camera.

Mi guardai intorno: la stanza era ampia e circolare, circondata interamente da finestre pareti che affacciavano sul grande giardino che circondava tutta l'area del Palazzo Reale. Vi erano tre divanetti in pelle di un sgargiante colore rosso sangue, un tavolino in legno di quercia bianca era posto tra di essi. Sicuramente era stato messo in quella posizione per consentire alle dame di poter appoggiare le bevande e i pasticcini che si consumavano durante le conversazioni.

Alcuni vasi di fiori bianchi, gigli per la precisione, erano posti ai lati della porta e profumavano l'aria con la loro delicata e fresca essenza floreale.

Davanti a me, di spalle, vi era colui che avevo immaginato nel momento in cui avevo sentito il suono della sua voce dare l'ordine, alle guardie, di lasciarmi passare: il Dio Rodh.

I suoi lunghi capelli color carota, dello stesso identico colore della sua barba folta, gli arrivavano fino alle spalle possenti e mascoline.

Indossava una specie di tunica completamente in oro, con la parte superiore del busto tutta piumata e ricamata con merletti bianchi, che gli arrivava fino alle ginocchia, dove poi si intravedevano i pantaloni del medesimo colore.

HIPNÔSE  "Il sangue della dea"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora